(Egitto) Egitto: i riflessi economici della crisi (Umberto Profazio, Equilibri, 9 febbraio 2013)

11.02.2013 12:31

A pochi giorni dalla manifestazione del 25 gennaio, indetta per celebrare l’anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir e per protestare contro le politiche del Presidente Morsi, l’Egitto si trova ancora in una profonda crisi istituzionale, politica ed economica. I risultati del referendum hanno consegnato al Paese una nuova costituzione nel senso voluto dalla Fratellanza Musulmana, al prezzo però di un’evidente spaccatura con parte della piazza che aveva contribuito a rovesciare il precedente regime e seminando forti sospetti sul programma politico degli islamisti. Per di più la crisi politica si ripercuote sull’economia, sprofondando il Paese in una grave crisi valutaria e produttiva.

L'aiuto del Qatar

L’8 gennaio 2013 il governo del Qatar ha annunciato un prestito di 2,5 miliardi di dollari nei confronti dell’Egitto, concedendo una donazione extra di 300 milioni al fine di contenere la crisi monetaria che ha colpito la lira egiziana. L’annuncio, effettuato nei primi giorni del nuovo anno, ha evidenziato le profonde difficoltà economiche che il governo egiziano si trova ad affrontare a causa sia dell’attuale congiuntura internazionale, caratterizzata dalla crisi del debito dei Paesi europei (con i quali l’Egitto ha un importante scambio commerciale); sia dall’instabilità politica dell’Egitto stesso, appena uscito da una fase di scontro istituzionale e politico che ha fatto temere una riedizione dei giorni di piazza Tahrir. Il referendum sulla nuova costituzione ha contribuito a fornire al Paese un preciso quadro normativo a cui fare affidamento nel futuro prossimo, ma non ha ancora fornito indicazioni sull'avvenire politico del Paese. Con l’inizio del 2013 molti problemi, lungi dall’essersi risolti, si sono ripresentati in tutta la loro drammaticità.

La crisi della lira egiziana

L’annuncio del prestito da parte del Primo Ministro del Qatar Sheikh Hamad bin Jassim al-Thani è stato effettuato nel mezzo di una tempesta valutaria che ha portato la lira egiziana al suo minimo negli ultimi 8 anni. Per mantenere costante il valore della moneta, le autorità monetarie egiziane hanno venduto più di 20 miliardi di dollari di divise straniere, ma ciò non ha impedito alla fine di dicembre di raggiungere un cambio di 6,30 lire per dollari americani, pericolosamente vicino al minimo storico del 2004 di 6,26. Le riserve monetarie del Cairo si sono assottigliate pericolosamente, raggiungendo, secondo la definizione delle autorità bancarie del Paese, “un livello critico”.

Per la precisione, le riserve sono diminuite dai 36 miliardi di dollari, stima a cui erano valutate prima della rivolta del 2011, ai 15 milioni del mese di dicembre 2012. Un calo significativo, maggiore di un dimezzamento. A complicare ulteriormente la situazione hanno contribuito inoltre le agenzie di rating: Standard & Poor’s ha infatti declassato il rating dei titoli di credito a lungo termine dell’Egitto da B a B-, allo stesso livello dei titoli di credito della Grecia. Per comprendere appieno le difficoltà dell’economia egiziana occorre considerare che il Qatar stava già fornendo assistenza finanziaria all’Egitto, nell’ordine di 2,5 miliardi di dollari, raddoppiati in seguito alle ultime trattative. Inoltre, lo scorso anno Il Cairo era già in trattative con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito di 4,8 miliardi di dollari, ma le discussioni si erano arenate a causa dei disordini scoppiati alla fine del 2012 per la questione costituzionale.  La banca centrale ha inoltre vietato il ritiro di denaro contante superiore ai 30.000 dollari al giorno ed ha annunciato multe e tassazioni maggiori per coloro che intendano comprare divise straniere.

I timori di una stagflazione non sono del tutto infondati poiché i livelli di povertà e disoccupazione sono in costante aumento, mentre l’economia fatica a ripartire. Le possibilità di una ripresa del fenomeno inflattivo derivano soprattutto dal già citato deprezzamento della lira, mentre molte statistiche ufficiali evidenziano la crisi del comparto produttivo. I dati riportati da al Dustur sono scoraggianti: secondo il quotidiano, infatti, circa 20.000 aziende sono fallite negli ultimi mesi. In base a recenti stime dell’Economist, il PIL potrebbe aumentare nei prossimi anni, ma è rimasto sotto il 3% nel 2012 a causa delle difficoltà politiche e delle perdurante instabilità. Gli stessi motivi che hanno provocato il downgrading di Standard & Poor’s, che il 24 dicembre ha motivato il declassamento citando le già citate “ragioni politiche”.

Lo scontro istituzionale ed il referendum

Le origini della crisi economica che sta colpendo l’Egitto sono attribuibili essenzialmente alle convulsioni politico-istituzionali del Paese. Occorre innanzitutto considerare il cambio di regime, la caduta di Mubarak e la lunga fase di transizione non ancora del tutto conclusa. Ma oltre a fattori di medio-lungo periodo, non bisogna certo dimenticare i recenti eventi che hanno fatto temere per una riedizione delle giornate di piazza Tahrir del gennaio-febbraio 2011. Nei mesi scorsi si è infatti assistito ad uno scontro senza precedenti tra il Presidente Morsi, appoggiato dal Partito Giustizia e Libertà, e la piazza, rappresentata dalle componenti laiche della popolazione, quelle che in un certo senso avevano dato il via alla rivolta di due anni fa contro Mubarak.

Il tutto è cominciato il 22 novembre scorso, quando con un decreto presidenziale lo stesso Morsi si era attribuito poteri inediti, tra cui l’assoluta immunità di fronte agli organi giudiziari. Proprio lo scontro con il potere giudiziario è stata una costante degli ultimi mesi, come dimostrato dalla decisione di licenziare il Procuratore generale Abdel Maguid Mahmoud, nominato dal regime precedente di Hosni Mubarak. La tendenza alla concentrazione dei poteri da parte del nuovo presidente è tornata così all’ordine del giorno nella stampa e nelle strade egiziane, pochi mesi dopo l’allontanamento forzato del Maresciallo Tantawi, reggente del nuovo Stato egiziano dall’11 febbraio 2011 al 12 agosto scorso, quando è stato pensionato d’ufficio dallo stesso Morsi.

L’allontanamento di Mahmoud, e la sua sostituzione con Talat Ibrahim, sono stati accompagnati però da un altro colpo di forza che ha contribuito ad esasperare gli animi degli oppositori. L’approvazione, il 29 novembre, di un nuovo testo costituzionale da parte della Commissione incaricata è stata subito interpretata come una mossa per evitare che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla sua legittimità. La fretta con la quale è stato indetto il referendum, che si è tenuto in due tornate il 15 ed il 22 dicembre, ed il rifiuto del Presidente Morsi di rimandare l’appuntamento elettorale, hanno fatto infuriare gli oppositori che sono scesi in piazza per contrastare l’azione del governo.

Diverse violenze si sono verificate in molte parti del Paese, soprattutto ad Alessandria, dove i manifestanti si sono scontrati con le forze dell’ordine e con i sostenitori del Presidente. Ciò non ha comunque impedito lo svolgimento del referendum: il nuovo testo costituzionale ha ottenuto il 63% dei voti favorevoli, ma l’affluenza alle urne è stata del 32%, a causa del boicottaggio delle opposizioni laiche e nazionaliste. Il nuovo testo costituzionale è stato così approvato ma alcuni suoi articoli continuano ad essere fonti di controversia e di battaglia politica, oltre che elettorale.

La nuova costituzione

Ad una rapida analisi, il nuovo testo approvato dal referendum sembra essere ispirato ad una visione più islamista della società, in linea con gli interessi del gruppo al potere. Le previsioni generali sull’appartenenza dell’Egitto alle nazioni arabe e islamiche, sul rispetto delle minoranze e sui diritti civili non sembrano contenere norme in contrasto con gli standard internazionali sul rispetto dei diritti umani. In alcuni casi si possono registrare anche alcuni progressi, come nel caso dell’impossibilità per gli organi di giustizia militare di giudicare i civili; nelle previsioni che garantiscono la libertà dei media; e nella limitazione a due mandati per il Presidente della Repubblica. Maggiori preoccupazioni riguardano il trattamento del tema delle pari opportunità e la spinosa questione dell’università di al Azhar.

Per quanto riguarda i diritti delle donne, l’articolo 10 sembra garantire in maniera adeguata i diritti del sesso femminile, prevedendo specifiche tutele ed assicurazioni per la maternità ed il ruolo della donna. L’articolo 30 stabilisce inoltre che “tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, nei diritti e nelle obbligazioni, senza discriminazioni”. Tuttavia, l'assenza di ogni riferimento esplicito riguardante le donne in tale norma alza qualche dubbio riguardo l'effettiva promozione delle pari opportunità ed è stata considerata dagli oppositori come evidente discriminazione nei confronti del sesso femminile.

Molto più grave sembra essere invece la questione relativa al ruolo dell’università di al Azhar. La previsione che gli studiosi di tale centro di eccellenza della cultura islamica debbano essere consultati in tutte le materie relative alla interpretazione della Sharia può rivelarsi molto pericolosa per il futuro del Paese. L’uso che al Azhar (e più in particolare i suoi vertici) potrebbe fare di tale norma ed il potere che ne deriva risulta enorme ed in grado di decidere sulla giurisprudenza presente e futura dell’intero Egitto. Minacciando il pluralismo e quelle forme democratiche che il popolo egiziano ha con tanta fatica conquistato negli ultimi due anni.

Una sovranità politica senza sovranità economica

Nel frattempo l’anniversario della rivolta di piazza Tahrir ha offerto l’occasione per nuovi scontri in tutto il Paese. Al Cairo le proteste sono state contenute, ma è lungo il canale di Suez che si sono verificate violenze diffuse. In particolare a Port Said 33 persone sono morte, in seguito agli scontri scoppiati per la condanna a morte di 21 supporters della squadra locale dell’al Masri, coinvolti nelle violenze del 2 febbraio 2012 con i sostenitori dell’al Ahly (74 vittime nell’occasione). Ciò ha costretto il Presidente Morsi ha provocare lo stato di emergenza a Port Said ed in due altre città della zona del Canale, Suez ed Ismaila, mentre l’opposizione continua ad accusare il Presidente di autoritarismo e alti gradi dell’esercito lanciano l’allarme sulla attuale situazione di crisi del Paese.

In un tale contesto, la situazione economica continua a soffrire delle stesse criticità riscontrate negli ultimi due anni. E la fragile sovranità politica, faticosamente conquistata dai Fratelli Musulmani, rischia di perdere pezzi importanti dell’economia dell’Egitto: ne sono esempio le recenti notizie apparse sulla stampa regionale e riguardanti il presunto interesse del Qatar ad acquisire gradualmente il controllo proprio del canale di Suez. Indiscrezioni e timori respinti dal Primo Ministro al Thani nella recente visita al Cairo il 9 gennaio scorso, in un’intervista che sembrava aver dissolto ogni dubbio al riguardo. Ma recenti dichiarazioni del Ministro delle Finanze qatarino Yousef Hussain Kamal, che ha annunciato ingenti investimenti nella zona di Port Said, sembrano confermare l’interesse di Doha ad approfittare della attuale fase di debolezza dell'Egitto per prendere il controllo di asset strategici di importanza regionale ed internazionale.