(Ecuador) La rivoluzione cittadina di Correa convince l’Ecuador (Maurizio Stefanini, Limes online, 19 febbraio 2013)
Il capo di Stato in carica vince le elezioni presidenziali e il suo partito Alianza Pais ottiene la maggioranza all'Assemblea Nazionale. Apprezzate la sua capacità di dare stabilità al governo del paese e gli investimenti pubblici. L'erede di Hugo Chávez può essere lui.
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[Rafael Correa. Foto Ansa]
Vittoria su tutta la linea per Rafael Correa in Ecuador. Era largamente prevedibile e previsto dai sondaggi il 56,7% da lui ottenuto alle presidenziali di domenica, anche se qualche exit poll subito dopo il voto lo dava addirittura al 62%.
Ma c’era un dubbio sul fatto che il suo partito, Alianza pais, riuscisse a strappare quella maggioranza in Assemblea nazionale che Correa aveva ottenuto nel 2009 ma aveva poi perso rompendo con vari suoi alleati. Anzi, i risultati dei referendum del 7 maggio 2011 avevano lasciato intendere qualche difficoltà del suo movimento in battaglie dove il suo carisma non fosse direttamente in campo.
Invece, con 91 deputati su 137 Alianza pais è andata in proporzione addirittura meglio del suo leader. A ciò ha potentemente contribuito la pesante frammentazione dell’opposizione, che non è riuscita a venire a capo di divergenze in gran parte legate a personalismi.
Il 22,3% è andato al banchiere membro dell’Opus Dei Guillermo Lasso, mentre il suo partito di centro-destra Creo ha ottenuto 12 deputati. Il 6,6% è andato al colonnello e ex-presidente Lucho Gutiérrez, col suo Partido sociedad patriótica a 6 deputati. Il 4% a Mauricio Rodas, anche se il suo partito di destra Suma (sociedad unida más acción) si è fermato a un deputato. Il 3,7% al re delle banane Álvaro Noboa, il cui Partido renovador institucional acción nacional è però rimasto fuori dall’Assemblea nazionale. Il 3,2% ad Alberto Acosta, ex-ministro di Correa, la cui coalizione Unidad plurinacional de las izquierdas, che attacca il presidente da sinistra, ha avuto 6 deputati. L’1,3% a Norman Wray, altro ex-esponente del movimento di Correa, il cui gruppo Ruptura 25 è pure rimasto fuori dall’Assemblea. L’1,2% al pastore evangelico Nelson Zavala, appoggiato da quel Partido roldosista ecuadoriano che dopo essere stato uno dei più importanti negli anni Ottanta e Novanta si è ridotto a un solo eletto. Altri 6 deputati appartengono poi al Partito social cristiano; 5 al socialdemocratico Avanza Ecuador, che appoggiava anch’esso Correa; uno a testa a tre partitini regionali.
Il fatto che questa larga vittoria sia venuta proprio mentre tornava in Venezuela un Hugo Chávez che la tracheotomia obbliga ormai a parlare solo via twitter è in qualche modo simbolico della possibilità che sia Correa a prendere l’eredità della leadership di quell’asse bolivariano e di quel Socialismo del XXI secolo che è stato il presidente venezuelano a creare, ma che ora questi non appare più in condizioni di dirigere.
Non solo per le proprie pessime condizioni fisiche, confermate dall’annuncio che la cerimonia del giuramento sarà ancora rinviata, ma soprattutto per le sempre peggiori condizioni economiche del paese, sancite dalla recente drastica svalutazione del cambio da 4,3 a 6,3 bolívares per dollaro.
L’Ecuador invece cresce ed è stato d’altronde lo stesso Correa a spiegare in tono amichevole che “Chávez può insegnare a me la geopolitica ma io posso insegnare a lui l’economia”. Mentre dunque il ceto imprenditoriale venezuelano si sente vessato da Chávez, quello ecuadoriano tutto sommato con Correa sta facendo affari, e può apprezzare il clima di stabilità che ha portato, dopo i sette presidenti e le tre rivoluzioni che si erano succedute in appena dieci anni.
Il timore, piuttosto, è per la stampa indipendente, su cui potrebbe ora abbattersi quella Legge sui media che era rimasta bloccata proprio perchè Correa non aveva la maggioranza in parlamento. Intanto, per “difendere il popolo contro la stampa che disinforma e manipola”, il presidente ha creato con risorse pubbliche una rete di quattro giornali e quattro tv che coprono i tre quarti dell’audience. “Vogliamo creare una società dove comandino i cittadini e non chi ha i soldi per comprarsi una tipografia”, è lo slogan della “Rivoluzione cittadina” con cui si propone di "rifondare l’Ecuador” e “porre termine allo Stato borghese”. Né sono mancate verso la stampa altri tipi di vessazione.
Proprio perché Correa è un economista, è probabile che l’economia sarà un fronte importante del suo prossimo mandato. Dopo aver già speso 60 miliardi di dollari in welfare, il suo programma è di spenderne altri 40 miliardi entro il 2017. Sebbene la moratoria da 3,2 miliardi sul debito internazionale decisa da Correa nel 2008 gli abbia fatto perdere l’accesso ai mercati internazionali di finanziamento, negli ultimi sei anni le entrate dello Stato grazie agli alti prezzi petroliferi sono aumentati, e ciò ha permesso di distribuire a 2 milioni di persone un Buono di sviluppo umano portato a gennaio da 35 a 50 dollari al mese. Sempre a gennaio è stato aumentato da 5 mila a 6 mila dollari un buono per l’abitazione elargito a chi vuole comprare una casa del valore fino a 15 mila dollari, e da 292 a 318 il salario base.
Dopo aver fatto costruire 700 chilometri di strade, ora sta realizzando otto centrali idroelettriche, un novo aeroporto e una linea di metropolitana a Quito; Correa ha inoltre triplicato le spese per la sanità e l'istruzione. La popolazione sotto il livello di povertà è scesa dal 37 al 27%.
Resta da raggiungere l’obiettivo principale, che è quello di rendere l’economia ecuadoriana meno dipendente dal petrolio. Anche se, paradossalmente, se ci riuscisse, dovrebbe allentare il tipo di controllo che ora esercita sul paese.