(Darfur) Dieci anni di guerra in Darfur (Antonella Napoli, Limes online, 26 febbraio 2013)

27.02.2013 14:12
A dieci anni dall'attacco del Sudan liberation movement che segnò l'inizio del conflitto, la situazione umanitaria è nuovamente precipitata. Khartoum vuole stanare i ribelli antigovernativi. La nascita del Sud Sudan e le differenze con una normale guerra civile.


[foto di Antonella Napoli]

Nyala (Sud Darfur, Sudan) - I raggi del sole amplificati dai riflessi della sabbia filtrano attraverso le fessure che l’usura ha creato nella trama dell’enorme tenda bianca e azzurra nel cuore di Athash camp, Nyala, Sud Darfur. Il padiglione sanitario è gremito, come ogni giorno.

 

Amane, indebolita dagli stenti, ha il seno arido. Non ha latte per la sua piccola: pochi mesi e una sola chance di sopravvivenza, il latte artificiale che le organizzazioni non governative distribuiscono ogni mese nei centri di accoglienza per i profughi della regione occidentale del Sudan scossa da un conflitto iniziato nel 2003.

 

Una siringa, 5 ml di gocce di vita a testa ogni quattro ore. Questo è quanto può sperare di ottenere giorno dopo giorno Amane, una delle tante madri che quotidianamente affrontano una crisi che non finisce mai. Dieci anni di guerra, di malattie e di fame che hanno stremato il Darfur e la sua gente.

 

Al nord come al sud, a el Fasher come a Nyala. Ed è proprio qui, nella capitale meridionale della regione, che si registra il primo, piccolo segnale di cambiamento.

 

Da gennaio a giugno 2012 il numero dei profughi che avevano deciso di far rientro nei villaggi di origine aveva superato i nuovi arrivi. Quattrocentomila persone, fino all'estate scorsa, avevano lasciato i campi gestiti dal Coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite in Sudan. Poi il flusso si è arrestato a causa dei nuovi focolai di guerra tra forze militari governative e ribelli, sia darfuriani sia sud sudanesi, al confine con il Sud Sudan, Stato divenuto indipendente nel luglio 2012.

 

È iniziata così una nuova emergenza. Contestualmente sono diminuite le ong operanti nella regione e sono state attuate nuove misure restrittive sul movimento degli operatori umanitari.

 

La corsa alle nuove risorse


L'emergenza più grave dall'inizio del 2013 è stata registrata nell'area del Jebel Amir, zona collinare del nord Darfur. Almeno 25 villaggi sono stati distrutti, con centinaia di vittime e migliaia di sfollati. Gli scontri tra alcune comunità in lotta tra loro per il controllo di una miniera d’oro hanno spinto alla fuga oltre 90 mila persone.

 

Le notizie sono state diffuse dalla missione di peacekeeping dell’Onu e dell’Unione Africana in Darfur (Unamid). Sulla base delle ricostruzioni disponibili, le ostilità sono iniziate nei pressi del giacimento minerario di Kabkabiya. A combattersi sarebbero gruppi di uomini armati di comunità arabe, i Beni Hussein e i Rizegat, etnie nomadi.

 

A dieci anni dall'attacco del Sudan liberation movement che scatenò la guerra su larga scala nella regione, la situazione umanitaria è dunque nuovamente precipitata. Oggi in Darfur si muore di dissenteria, malaria e tante altre patologie che nel mondo occidentale sono curabili. L'assistenza alla popolazione è stata di molto ridotta, in particolare nelle aree di Dar al Salam e Shangil Tobaya nel Nord Darfur, dove le autorità locali hanno imposto restrizioni alla distribuzione di beni primari come medicine e scorte alimentari.

 

Obiettivo di Khartoum è stanare i ribelli che nel nord continuano a contrapporsi al governo del presidente Omar Hassan al Bashir, sul cui capo pende un mandato di arresto internazionale per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità.

 

Quella in Darfur non è stata, non è, la ‘solita’ guerra civile.

 

In un decennio l’80% dei villaggi è stato distrutto. Tutto incenerito - capanne, campi, scuole - dalle bombe dell’aviazione sudanese e dagli attacchi delle milizie arabe dei Janjaweed, i cosiddetti ‘diavoli a cavallo’ assoldati, secondo il Tribunale dell’Aja, dal governo sudanese per contrastare la rivolta in Darfur.

 

Due milioni e mezzo di persone hanno abbandonato le proprie case, costrette alla fuga e a un’esistenza al limite della sopravvivenza.

 

Le cifre sulle vittime non sono determinabili con certezza, le Nazioni Unite restano vaghe. I morti sarebbero tra i 200 e i 300 mila. Numeri ben diversi da quelli forniti dal Sudan che parla di 9 mila ‘perdite’.

 

Il conflitto e gli equilibri politici

 

Il Sudan è un paese ‘estremo’ non solo per le disparità tra il centro del potere, in pieno boom economico, e le martoriate e aride aree del Darfur, dove languono gli scampati alle violenze dei janjaweed, i cosiddetti 'diavoli a cavallo'.

 

La regione occidentale sudanese è ancora teatro di una crisi politica e umanitaria. Il Sudan, nell'ultimo anno e mezzo, ha affrontato cambiamenti decisivi, a cominciare dalla separazione il 9 luglio del 2011 dal Sud Sudan, che a seguito di un referendum per l'autodeterminazione è diventato indipendente. Per tutto il 2012 sono proseguiti i negoziati relativi agli accordi sulla ripartizione del petrolio, sulla cittadinanza e sulla demarcazione del confine. Ma il tavolo delle trattative si è più volte interrotto fino ad arrivare a uno scontro armato che ha fatto temere l'inizio di un nuovo conflitto su larga scala.

 

Per scongiurare la ripresa delle ostilità tra i due fronti, che si sono combattuti per oltre vent'anni in una guerra civile che ha causato 2 milioni di morti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite ha approvato all'unanimità una risoluzione che ha imposto la cessazione delle ostilità. Contestualmente il conflitto in Darfur si è ulteriormente intensificato, propagandosi nella zona di Abyei, nel Kordofan del Sud e nel Nilo Blu, spingendo centinaia di migliaia di civili a fuggire da queste aree. La situazione di grande instabilità ha favorito il proliferare della contrapposizione a Khartoum che ha 'costretto' il servizio d’intelligence e sicurezza nazionale e la polizia statale a perpetrare violazioni dei diritti umani contro persone ritenute critiche nei confronti del governo, per aver esercitato i loro diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione.

 

Le questioni sospese dopo indipendenza del Sud Sudan

 

Dopo il referendum del 9 gennaio 2011, sancito dall’accordo di pace del 2005 siglato tra il Partito del Congresso nazionale (National Congress Party - Ncp) e l’ex gruppo armato di opposizione del sud "Movimento di liberazione del popolo sudanese", che ha sancito la separazione tra Nord e Sud e la nascita del Sud Sudan, è rimasta in sospeso la siconsultazione prevista per l'assegnazione di Abyei [carta], rinviata indefinitamente a causa dei disaccordi sul diritto al voto dei due principali gruppi etnici: i semi-nomadi Misseryia del nord e i Dinka ngok del sud.

 

Stesso discorso per il Kordofan del Sud e il Nilo Blu, chiamati a determinare per via referendaria il loro livello di autonomia all’interno del Sudan. Il 17 maggio 2011 il candidato dell’Ncp Ahmed Mohammed Haroun, ricercato dalla Corte penale internazionale, è stato eletto governatore del Kordofan del Sud, nonostante le accuse di brogli elettorali avanzate dall’Splm.

 

È stata proprio questa la scintilla che ha incendiato nuovamente il fronte tra i due paesi.