Cina. Uno sguardo attento sul regno di mezzo (Misna)

14.05.2014 11:09

Union of Catholic Asian News (Ucan) è l’agenzia cattolica d’informazione sull’Asia nata a Hong Kong nel 1979 e per molti anni qualificata fonte informativa sulla realtà cinese. Da tempo trasferita la sede principale a Bangkok, Ucan mantiene una forte attenzione verso il grande paese asiatico e la sua cristianità. Con il suo direttore esecutivo, il gesuita australiano Michael Kelly, MISNA ha avuto una conversazione nella capitale thailandese.

Come  informa Ucan sulla realtà cinese?

Lo facciamo attraverso informazioni originali che veicoliamo attraverso il nostro notiziario generale ma anche attraverso il servizio in lingua cinese. Abbiamo all’interno persone che possono fornirci informazioni e inoltre disponiamo di commentatori, esperti che possano contestualizzare o analizzare queste informazioni. Inoltre, disponiamo rapporti con oltre 40 webmaster in Cina che contribuiscono alla nostra raccolta di informazioni attraverso la piattaforma Internet.

Quali i destinatari della vostra informazione verso la Cina?

Non ci illudiamo sulla possibilità di influire con pressioni dall’esterno sulla situazione di quello che resta il Regno di Mezzo, il centro del mondo per la visione cinese. Nessuna pressione esterna sarà in grado ancora per qualche tempo di influire sul cammino cinese o sulla leadership del Partito comunista.

Tuttavia, la Chiesa è in crescita a livello numerico e ancor più lo è il protestantesimo, meno strutturato e quindi meno controllabile. La mancanza di gerarchie esclude che i protestanti possano essere obiettivo di gestione politica, repressione e punizione, senza escluderli dai rapporti con l’esterno. La realtà del cristianesimo resta dinamica, ma difficile, in particolare per i cattolici e quindi il futuro non sembra presentare prospettive incoraggianti.

La religione resta una minaccia per il partito?

I leader comunisti sono oggi più preoccupati per l’estensione della corruzione nel partito e questo spiega un controllo ancora più rigido sulla società. Il Tibet, e in questi ultimi tempi ancor più lo Xinjiang restano fucine di instabilità da parte di minoranze etniche e religiose che hanno forti connessioni all’estero e una qualche capacità di manovra all’interno. La tendenza per il presente è quindi di introdurre nuove forme di controllo che facciano capo direttamente al Politburo del Comitato centrale del partito e non alle strutture di sicurezza. Indipendentemente da chi governa in Cina, la preoccupazione è oggi come due millenni e mezzo fa, di evitare l’instabilità politica provocata da piccoli gruppi organizzati in comunità religiose. Da qui il controllo sui fenomeni religiosi e le occasionali mosse repressive.

Qual è il ruolo della religione in Cina, oggi?

Il vuoto religioso e etico attuale porta alla ricerca di spiritualità e di fede più strutturata. Il governo non può fermare questa tendenza tuttavia, con una ideologia in bancarotta, deve giustificare il proprio potere. La domanda è fino a quando potrà mantenere questo potere? Una risposta potrebbe essere: fino a quando l’esercito manterrà un ruolo. Quello che vige nella Repubblica popolare cinese è un sistema imperiale ereditario che vede oggi al vertice figli e figlie degli eroi della Lunga Marcia… mentre i nipoti tendono ad abbandonare il paese! Oggi il comunismo è un’associazione per finalità economiche e di potere, con benefici per i membri. Gli interessi tuttavia non bastano a garantire stabilità e il sistema rischia la disintegrazione. Il presidente Xi Jinping sta cercando di ristabilire il primato della dottrina maoista, pur sapendo che è alla base dei problemi della Cina attuale. I cinesi stanno cercando, oggi, di reinventare la propria civiltà tornando ai problemi che li hanno originati, ma non funzionerà.