(Cile) A migliaia tornano in piazza per il lavoro (Misna)
A quattro mesi dalle elezioni generali del 17 novembre, decine di migliaia di persone hanno sfilato nelle strade di Santiago del Cile per reclamare migliori condizioni di lavoro nell’ambito di una mobilitazione nazionale convocata dalla Centrale sindacale unitaria dei lavoratori (Cut), col sostegno dei movimenti studenteschi. Drasticamente divergenti i numeri della mobilitazione: per la Cut sono scesi in piazza in 150.000, per la polizia in 15.500.
Tra le rivendicazioni della folla, una riforma del codice del lavoro, l’aumento del salario minimo all’equivalente di 375 euro contro i 290 attuali, la sostituzione del sistema pensionistico privato con uno pubblico co-finanziato congiuntamente da dipendente e datore di lavoro. Secondo diverse associazioni di categoria, alla mobilitazione hanno aderito impiegati delle dogane, del fisco, dell’aviazione civile, delle scuole dell’infanzia.
Barbara Figueroa, presidente della Cut, ha sottolineato “la grande disuguaglianza e le grandi riforme necessarie” in un paese in cui il 25% dei lavoratori non guadagna più di 199.000 pesos (circa 300 euro) e il 50% più di 307.000 (circa 465 euro). Disordini tra manifestanti e forze di polizia si sono registrati nella capitale.
Oltre ai blocchi stradali eretti a Santiago, anche gli accessi ai principali siti minerari della compagnia di Stato Codelco, primo produttore di rame al mondo, sono stati ostacolati. Ciononostante, Codelco ha sostenuto che le sue attività non ne hanno risentito.
Con l’avvicinarsi delle elezioni di autunno, che per la presidenza vedono favorita l’ex capo dello Stato socialista Michelle Bachelet, si sono fatte sempre pià ricorrenti le mobilitazioni popolari contro il modello economico liberista, eredità del regime di Augusto Pinochet (1973-1990) che pur avendo permesso al Cile di crescere, riducendo la povertà dal 40 al 14% ha generato un sistema di grave iniquità.