Cafeteros colombiani in sciopero per salvare l’industria del caffè (Alfredo D'Alessandro, Meridiani, 3 marzo 2013)

04.03.2013 07:08

La crisi del settore del colombiano ha fatto scendere in piazza migliaia di coltivatori per chiedere al governo del presidente Santos di aumentare i sussidi e proteggere il settore dalla caduta del prezzo internazionale del caffè. In Colombia il settore è in crisi perché sono aumentati i costi di produzione del caffè, la resa delle terre coltivate è diminuita e una valuta nazionale forte ha inciso negativamente sulle esportazioni. L’associazione che riunisce i produttori dei principali dipartimenti cafeteros del paese (il Movimiento nacional por la defensa y la dignidad cafetera) ha quindi deciso di indire uno sciopero nazionale lo scorso lunedì 25 febbraio. Lo sciopero dura da una settimana senza che si sia raggiunta un’intesa tra governo e federazione. Venerdì 1 marzo Santos aveva annunciato un aumento dei sussidi per il settore, una concessione fatta seguire al fallimento dei colloqui con la federazione. Ma ieri, 2 marzo, il tentativo di intesa è fallito di nuovo e gli scioperanti hanno annunciato la continuazione della protesta.

La Colombia è uno dei principali produttori di caffè del mondo e si piazza dietro Brasile, Vietnam, Costa Rica e Indonesia nella lista dei paesi esportatori di caffè. La produzione di caffè ha avuto il suo boom negli anni ’70, quando il settore rappresentava quasi il 63% delle esportazioni totali del paese.

Oggi l’industria cafetera è ancora uno dei settori economici più importanti della Colombia, ma si è passati dall’esportazione di più di 17 milioni di sacchi di caffè del 1993 – ogni sacco equivale a 125 kg di caffè – ai poco meno di otto milioni del 2012. Anche il prezzo internazionale del caffè è crollato drasticamente negli ultimi mesi: se nel 2011 un sacco di caffè valeva 605 dollari, nel 2012 il suo valore è sceso a 357 per poi crollare a 281 dollari all’inizio di quest’anno.

Secondo il centro di studi economici colombiano Fedesarollo la produzione colombiana è calata soprattutto a causa dell’aumento dei costi per i produttori. I costi di produzione di un sacco di caffè sono cresciuti nell’ultimo anno da 275 a 412 dollari a causa dell’aumento dei costi di trasporto, del prezzo delle attrezzature e dei pesticidi. Oggi il numero di sacchi per ettaro di terreno che si riesce a coltivare in Colombia (circa 8) è quasi la metà di quello di Costa Rica (14 sacchi) o Brasile (25 sacchi).

Le perdite per la crisi del settore cafetero sono anche di ordine sociale. L’industria del caffè genera 760.000 posti di lavoro diretto e altri 1.400.000 nell’indotto, impiegando il 10,27% del totale dei lavoratori colombiani.

Ad appoggiare la protesta dei produttori di caffè, per la prima volta, si sono uniti gli esponenti di tutto il mondo politico colombiano, dalla sinistra rappresentata dal Polo democratico, alla destra del Partito liberale e quello conservatore. Il senatore del Polo democratico ed ex sindacalista dell’industria del caffè, Jorge Robledo, considera la protesta legittima e ha criticato la durezza della risposta del governo colombiano. La Policia nacional ha impiegato circa 15.000 agenti per prevenire scontri e i blocchi del traffico dei manifestanti. “Allo sciopero stanno partecipando contadini, operai, indigeni e anche imprenditori. Praticamente tutti i settori del paese si sono uniti alla manifestazione, anche chi ha votato per Santos” ha detto Robledo.

Con la causa dei cafeteros ha solidarizzato anche l’ex presidente della Colombia, Alvaro Uribe, acerrimo rivale politico di Santos. L’attuale esecutivo non è comunque rimasto indifferente ai problemi dell’industria del caffè negli ultimi anni. Secondo dati del ministero dell’agricoltura colombiano, tra il 2010 e il 2013, il governo ha investito 660 milioni di dollari nel settore cafetero, ovvero il 49% del totale degli aiuti dati all’agricoltura.

Il ministro degli interni colombiano, Fernando Carrillo, ha annunciato che il governo si riunirà giovedì prossimo con le principali sigle del settore cafetero per discutere le possibili soluzioni alla crisi.