Brevi dal mondo - Misna (20 dicembre 2013)

20.12.2013 15:40

- (Messico). RIFORMA ENERGETICA, UNA VOCE DALLA UNAM

“È necessario frenare la corruzione nel sindacato di Pemex, Petróleos Mexicanos – l’azienda di Stato per petrolio e gas che ora apre agli investimenti privati – ma anche che il governo la smetta di spremerla come un limone con la tassazione”.

Dal suo particolare osservatorio della Unam, la Universidad Nacional Autónoma de México (Unam) – dove si occupa di diversi ambiti, dalla gioventù all’ambiente – il professor Héctor Castillo Berthier risponde così alla MISNA che lo interpella sulla storica riforma energetica approvata nei giorni scorsi dal Congresso. Dopo il via libera di 17 dei 32 parlamenti statali – ratifica scontata visto che il Pri (del Partido Revolucionario Institucional, governo) amministra complessivamente 20 Stati – la più grande riforma energetica degli ultimi 75 anni, fortemente osteggiata dall’opposizione di centro-sinistra, è sul punto di essere promulgata dal presidente Enrique Peña Nieto

“Aprire alla partecipazione privata può essere positivo se si mantiene il controllo del Consiglio di amministrazione e si migliora la ripartizione degli utili e la modernizzazione del settore” osserva il professor Castillo Berthier. Che oltre alle prime due raccomandazioni, ne aggiunge altre: “Bisogna controllare i furti, la cosiddetta ‘ordeña’, la ‘mungitura’ clandestina che esiste nei condotti sotterranei della Pemex da molti anni”.

Poi, aggiunge, Castillo Berther “occorre seguire l’esempio norvegese” – ovvero quello seguito dalla Statoil che è in maggioranza di proprietà statale ma combina investimenti privati nazionali e stranieri – e “guardare agli errori e ai successi brasiliani – con l’esempio della Petrobras – per ridisegnare una strategia a lungo termine”. Come ultimo suggerimento il docente della Unam segnala la necessità di “diminuire e professionalizzare la manodopera dell’impresa”.

La sinistra, che si è fermamente opposta alla riforma, spera ancora di poterla revocare con un referendum che auspica di organizzare in concomitanza con le elezioni legislative del 2015. La proposta ha già raccolto un milione e 700.000 firme.

- (Giappone). RADDOPPIANO LE SPESE PER LA BONIFICA DI FUKUSHIMA

Sarà quasi raddoppiato l’esborso finanziario necessario alla bonifica della centrale atomica di Fukushima-1 ma anche ai compensi per le vittime. La decisione, approvata durante la riunione odierna di gabinetto dedicata alla risposta all’emergenza nucleare, porta il finanziamento da 5000 a 9000 miliardi di yen (circa 87 miliardi di dollari) e mira ad accelerare il recupero dalla crisi provocata dall’avaria dei reattori della centrale parzialmente colpita dall’onda di tsunami l’11 marzo 2011.

“Il Giappone non potrà rilanciarsi senza un recupero di Fukushima”, ha affermato il premier Shinzo Abe durante l’incontro in ci ha anche rilevato come “la nostra missione è di aiutare la ricostruzione nel più breve tempo possibile dell’esistenza di oltre 100.000 evacuati”.

Per molti critici, la mossa del governo corrisponderebbe di fatto a un salvataggio della Tepco (Tokyo Electric Power Co), gestore dell’impianto a cui sono destinati molti dei fondi stanziati. Criticata per ritardi, inadempienze e, soprattutto, i vasti tentativi di copertura nella crisi, non sono in molti a volerne il salvataggio con il denaro dei contribuenti. Un sostegno che include anche la ripulitura dei suoli delle aree interessate dalla radioattività, separato dai 2500 miliardi di yen già previsti.

Tepco aveva espresso la necessità di ulteriori fondi per 1100 miliardi per costruire strutture di raccolta del suolo radioattivo e delle macerie interessati dalla decontaminazione.

L’impianto di Fukushima-1, simbolo di un’emergenza radioattiva che sta segnando profondamente il Giappone e costringendo a un serio ripensamento sul suo nucleare a uso elettrico (i 50 reattori fornivano fino a due anni e mezzo fa il 30% dell’elettricità necessaria al paese) va verso la totale chiusura. Oltre al disarmo dei reattori 1, 2, 3 e 4, due giorni fa è stato deciso un simile provvedimento per quelli 5 e 6. Obiettivo di Tepco è di rendere l’intero impianto una divisione autonoma destinata allo smantellamento dei reattori e alla gestione dell’acqua contaminata dalle radiazioni. In pratica un incubo radioattivo da gestire per molti anni a venire, mentre avanza a rilento il piano di togliere dai reattori in crisi le barre di combustibile nucleare, in alcuni casi in parte fuse o prossime alla fusione, causa di un esteso inquinamento del suolo e delle acque.

- (Centrafrica). A BANGUI SI SPARA, TIMORI E INCOGNITE

“Dalle 5 (ore locale) e per alcune ore siamo stati sotto una pioggia di colpi di artiglieria e di detonazioni di armi pesanti. Ora si tratta di spari sporadici ma la gente è tornata ad avere paura. C’è chi si è rintanato in casa e chi invece è scappato per rifugiarsi nelle parrocchie e nei campi sfollati”: lo dice alla MISNA il segretario generale della Conferenza episcopale centrafricana, padre Cyriaque Gbate, contattato a Bangui, sottolineando che “c’è incertezza e confusione sull’identità delle forze coinvolte”. I disordini si stanno verificando all’indomani del passaggio di consegne dalle Forza dell’Africa centrale (Fomac) alla Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca), varata dall’Onu, sotto la guida dell’Unione africana (Ua).

Già ieri il campo militare di M’Poko, nei pressi dell’aeroporto – dove sono basate le truppe francesi di Sangaris e quelle africane – è stato il teatro di “intense sparatorie” durate alcune ore nelle quali alcuni soldati della Misca sarebbero rimasti feriti. La dinamica dell’episodio è ancora confusa e non è stata diffusa ancora alcuna dichiarazione ufficiale. La tensione si è riaccesa anche nei quartieri settentrionali, tra cui quello di Gobongo, dove ieri sera si sono scontrati miliziani Anti-Balaka ed ex ribelli Seleka.

“Nonostante le operazioni di disarmo dei soldati francesi e un lieve miglioramento della situazione nei giorni scorsi, qui la tensione è ancora alta e potrebbe degenerare in rappresaglie e vendette su vasta scala, come già accaduto all’inizio del mese” hanno riferito alla MISNA fonti missionarie locali che chiedono l’anonimato per motivi di sicurezza. Protagonisti del caos di Bangui sono ancora ribelli dell’ex coalizione Seleka e miliziani Anti-Balaka, “che non sono stati disarmati”. Tuttavia, secondo le stesse fonti, a complicare ulteriormente lo scenario sono i “soldati ciadiani del contingente Fomac, ora passati alla Misca”, il cui atteggiamento è “molto ambiguo”.

Sulla base di testimonianze raccolte dalle fonti locali della MISNA in alcuni quartieri più ‘caldi’ della capitale e in alcune città dell’interno, i militari di N’Djamena combattono al fianco della Seleka, e in alcuni casi “non esitano ad aprire il fuoco contro i civili”, oltre ad essere “in contrasto aperto con gli altri contingenti, a cominciare da quello del Camerun”. Oltre che i paesi dell’Africa centrale, alla Misca contribuiscono soldati messi a disposizione tra gli altri dal Burundi e dalla Repubblica del Congo. Anche il Rwanda ha annunciato che dispiegherà truppe in Centrafrica.

In uno scenario molto volatile, fonti del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) contattate dalla MISNA a Bangui sottolineano i “rischi” e le “difficoltà logistiche” dell’intervento degli operatori umanitari nei campi profughi e nelle strutture medico-sanitarie. Il Cicr è in “stato di allerta” ed è “pronto ad intervenire” in altre zone del paese dove il clima si sta deteriorando: le situazioni più “preoccupanti” sono quelle di Bossangoa, Bozoum, Bouca e Paoua.

Il vescovo di Bossangoa, monsignor Désiré Nestor Nongo Aziagbia, ha confermato alla MISNA che in città c’è una certa tensione tra le due comunità, cristiana e musulmana, che vivono separate. Sul posto c’è una presenza della Seleka e degli Anti-Balaka che continuano a prendere di mira i civili con attacchi e saccheggi, ma monsignor Aziagbia si dice fiducioso. “Speriamo che con il sostegno dei soldati francesi e della Misca le acque si calmino e che l’autorità dello Stato possa essere ristabilita sull’insieme del territorio” ha aggiunto il vescovo. Altrove, da Bozoum (nord-ovest) a Bangassou (est) fonti religiose contattate dalla MISNA hanno riferito di “iniziative di mediazione” da parte dei rappresentanti delle comunità cristiana, protestante e musulmana che hanno incontrato esponenti della Seleka e degli Anti-Balaka e che stanno “portando i primi frutti” oltre ad un po’ di “tregua”.