Brevi dal mondo - Misna (18 dicembre 2013)

18.12.2013 08:48

- (Cina). CAMPI DI LAVORO VERSO CHIUSURA SOLO FORMALE, AVVERTE AMNESTY

L’annuncio dato il mese scorso dalle autorità cinesi di volere chiudere entro il 2020 i campi di riforma attraverso il lavoro, insieme ad altri provvedimenti tesi a dare un’immagine più moderna e meno repressiva del potere e del Partito comunista, potrebbe essere soltanto un’operazione di facciata.

In un nuovo rapporto, l’organizzazione con base a Londra, segnala come la detenzione arbitraria, sovente senza processo o regolare condanna, spesso in condizioni contrarie alla legge internazionale e ai diritti umani, potrebbe continuare sotto forma di “prigioni nere” (ovvero segrete), centri di riabilitazione per tossicodipendenti e altre iniziative di segregazione, peraltro già presenti.

“Senza un cambiamento fondamentale nelle politiche e pratiche governative che portano alla punizione di individui e gruppi che cercano di esercitare i propri diritti, c’è il rischio concreto che le autorità promuovano l’abolizione di un sistema di detenzione arbitrario per estendere l’uso di altri”, conferma Amnesty.

L’uso dei campi di lavoro, sovente localizzati presso manifatture o miniere a cui forniscono la manodopera, risale agli anni Cinquanta del secolo scorso e ha finora “ospitato” 50 milioni di dissidenti o di cinesi accusati di attività sovversiva o perché in contatto con elementi considerati pericolosi per il potere comunista. A volte semplicemente per essere in disaccordo con le politiche ufficiali o perché entrati in contrasto con funzionari del partito. Ufficialmente, sono ora 50.000 i detenuti raccolti in oltre 300 centri ancora attivi, anche se in alcuni casi molto ridimensionati rispetto al passato.

- (Global). 2014, L’ANNO DELL’AGRICOLTURA FAMILIARE

Dalla quinua o quinoa, il “grano sacro” dei popoli delle Ande ormai diffusa un tutto il pianeta, all’agricoltura familiare, il passo non è poi così lungo: è un simbolico “passaggio di consegne” quello deciso dalla Fao, il Fondo dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, che ha chiuso in Perù l’anno internazionale dedicato allo speciale vegetale – ritenuto uno strumento fondamentale per la lotta contro la fame al livello globale – annunciando ufficialmente che il 2014 sarà dedicato all’agricoltura familiare.

Insieme al presidente peruviano Olanta Humala e alla ‘primera dama’ Nadine Heredia, “ambasciatrice speciale” del Palazzo di Vetro per la la quinoa, il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, ha partecipato lo scorso fine settimana alla cerimonia di chiusura dell’Anno della quinoa nella comunità andina di Capachica, nella regione di Puno, al confine con la Bolivia, altro grande produttore. In effetti i due paesi andini se ne contendono il primato.

“C’è un legame importante e naturale tra l’anno della quinoa e quello dell’agricoltura familiare, giacché la quasi totalità della produzione della quinoa è in mano a piccoli agricoltori. Sono loro a essere stati capaci di conservare e migliorare la quinoa per migliaia di anni” ha sottolineato il responsabile dell’agenzia Onu. Grazie alla quinoa, il Perù ha ottenuto dalla Fao un riconoscimento per aver ridotto della metà la popolazione che soffre la fame due anni prima di quanto stabilito dagli Obiettivi del Millennio, fissati dall’Onu nel 2000 e in scadenza nel 2015.

Secondo la Fao oltre l’80% dello sfruttamento agricolo nella regione andina corrisponde all’agricoltura familiare, che produce anche la maggior parte degli alimenti destinati al consumo interno nei paesi dell’America Latina.

- (Pakistan). NO DEI TALEBANI AL DIALOGO COL GOVERNO

Doccia fredda sulla speranza dell’esecutivo guidato da Nawaz Sharif di coinvolgere la guerriglia talebana in un processo di riconciliazione. Poche ore dopo l’offerta del Comitato ministeriale per la sicurezza nazionale di dare priorità a colloqui con i militanti e una proposta diretta in questo senso da parte del governo – i Talebani del Pakistan hanno fatto sapere a Sharif di rigettare la proposta.

I lavori del comitato, presieduti dal premier avevano confermato la strategia di coinvolgimento della guerriglia, ma anche previsto opzioni militari nel caso questo non fosse possibile.

A questa seconda possibilità i militanti hanno risposto confermando la volontà di non cedere a pressioni armate, ma di esseri pronti a rispondere con la forza.

A confermare la posizione dei Talebani del Pakistan, il loro portavoce Shahidullah Shahid, sottolineando la percezione del movimento che le azioni del governo sono in realtà dettate da debolezza e da suggerimenti dagli Stati Uniti. Ribadita quindi la volontà di applicare la legge coranica nelle aree da essi controllate e sull’intero paese e la sfiducia verso l’esecutivo.

A sostenere questa visione, l’uccisione del loro capo Hakimullah Mehsud, il mese scorso, appena prima del previsto avvio di colloqui a seguito di un’offerta di dialogo di Sharif. L’uccisione portò a una escalation di atti terroristici e intimidazioni da parte di un movimento responsabile in buona parte di oltre 30.000 decessi di civili e militari vittime del terrorismo e dei combattimenti tra forze governative e militanti. Un evento che portò lo stesso ministro degli Interni, Nisar Ali Khan, ad accusare gli Usa di volontà di sabotare il processo di pace.