(Albania) A Tirana si torna a parlare di “Grande Albania” (Gjergji Kajana, Meridiani, 11 febbraio 2013)

11.02.2013 11:46

Il 23 giugno l’Albania si recherà alle urne per eleggere il suo parlamento unicamerale. La campagna elettorale potrebbe concentrarsi su temi marcatamente nazionali, come programmi per lo sviluppo economico e lotta alla corruzione e alla povertà. A maggior ragione questo è quanto si attende dopo che il Consiglio europeo del dicembre scorso ha rifiutato di concedere all’Albania lo status di paese candidato all’adesione all’Unione europea. Il recente innalzamento dei toni nazionalistici a Tirana e dintorni ha spinto il Consiglio europeo a chiedere all’Albania “di evitare dichiarazioni che vanno contro le relazioni di buon vicinato”.

L’appello si riferiva soprattutto alla diffusione dell’idea di un’unione nazionale degli albanesi sparsi in diversi Stati balcanici in una nuova unica entità politica. La popolazione di etnia albanese nei Balcani costituisce oggi la maggioranza assoluta in Albania e Kosovo e include minoranze consistenti nei paesi vicini (Montenegro, Serbia, Macedonia e Grecia). L’idea di un’unione nazionale degli albanesi è nota anche come “, progetto politico pensato dai patrioti albanesi dopo il Trattato di Berlino del 1878, che fissò i confini politici dei Balcani dopo la guerra russo-ottomana del 1877-1878. A quel tempo le terre abitate dagli albanesi si trovavano sotto la sovranità dell’Impero ottomano ma rientravano nelle mire espansionistiche dei regni appena costituiti di Montenegro, Serbia, Bulgaria e Grecia.

Il progetto comprendeva l’unione degli albanesi dell’Impero in un unico Stato nazionale. Il 28 novembre 1912, un’assemblea composta da rappresentanti di tutte le terre abitate da albanesi, proclamò l’indipendenza dell’Albania. La Conferenza di Londra, che si tenne al termine delle guerre balcaniche (1912-1913), riconobbe ufficialmente lo Stato neo-costituito e ne fissò i confini. La delimitazione territoriale decisa a Londra però non includeva tutti gli albanesi dei Balcani: gran parte di loro si ritrovò all’interno dei confini di Montenegro, Serbia e Grecia. Da allora il nazionalismo è stato un tratto distintivo della gente albanese fuori dai confini della madrepatria.

Il sentimento nazionalista albanese è stato fomentato da politiche discriminatorie sul piano culturale e del rispetto dei diritti umani a danno delle minoranze albanesi, specialmente in Kosovo. Durante e dopo le guerre balcaniche e la seconda guerra mondiale, le violenze subite da militari e paramilitari greci in Kosovo e Ciamuria (regione greca abitata albanesi) spinsero tanti albanesi ad emigrare in Albania e Turchia.

Tirana non ha mai appoggiato l’irredentismo albanese oltre confine. Ma in nome del diritto all’autodeterminazione, guerriglieri albanesi fuori dell’Albania hanno dato vita a conflitti armati con le truppe di Belgrado e Skopje, conflitti finiti con l’intervento (nel caso kosovaro un intervento armato della Nato) e la mediazione internazionale (come per gli Accordi di Ohrid nella crisi in Macedonia). Le guerriglie albanesi agirono in Kosovo (1998-1999), Valle del Preševo nella Serbia meridionale (1999-2001) e Macedonia (2001). Tirana non ha incoraggiato queste battaglie, e si è impegnata nella soluzione delle crisi seguendo la ricetta di Usa, Ue, Nato e Onu: autonomia per gli albanesi senza cambiamenti dei confini statali.

Oggi l’unione nazionale degli albanesi è il caposaldo del programma dei nazionalisti di Alleanza rossonera (Ar), un movimento nato nel 2011 e trasformato in partito nel 2012, che chiede a Tirana di difendere con forza i diritti degli albanesi d’oltreconfine. Toni nazionalistici anche per la retorica di Sali Berisha, primo ministro albanese e leader del Partito democratico (Pd), principale forza della maggioranza governativa. Le due formazioni (Ar e Pd), rivali in politica interna, cominciano a sondare il terreno per realizzare il progetto della “Grande Albania”, fatto che suscita preoccupazioni per tutti i paesi confinanti con l’Albania e per Stati Uniti e Unione europea, i suoi maggiori partner internazionali.

A fomentare il clima nazionalista albanese ha contribuito la festa dei 100 anni dell’indipendenza. In quell’occasione (il 28 novembre scorso) Berisha ha parlato di unione nazionale degli albanesi all’interno delle frontiere dell’Unione europea. Il premier ha affermato che il progetto d’indipendenza coinvolge tutti gli albanesi dei Balcani e ha annunciato la concessione della cittadinanza albanese a tutti gli albanesi “ovunque essi vivano”. Le parole del premier fanno capire quale sia il cuore del suo progetto: la creazione di una zona di libera circolazione degli albanesi. La concessione della cittadinanza servirebbe a rafforzare il legame tra Tirana e gli albanesi che vivono oltre i confini nazionali.

Le parole di Berisha hanno provocato la reazione di Macedonia e Grecia che hanno boicottato i festeggiamenti del 28 novembre e annullato le visite ufficiali delle autorità politiche previste a Tirana. Lo scorso gennaio c’è stato un aumento delle tensioni tra Tirana e Belgrado. A Preševo (Serbia meridionale) è stato rimosso un monumento eretto dagli albanesi in onore ai caduti nella guerriglia antijugoslava. Con una nota il governo albanese ha condannato l’atto definendolo “una dimostrazione della albanofobia delle autorità ufficiali serbe”. La risposta di Belgrado non si è fatta attendere: le dichiarazioni provenienti da Tirana sono un “incitamento ad attività miranti alla destabilizzazione” nella regione, ha affermato il governo serbo, che ha chiesto anche all’omologo albanese di rispettare i diritti della minoranza serba e delle altre minoranze presenti in Albania.

Un altro motivo di attrito tra Albania e Serbia potrebbe essere la richiesta che Alleanza rossonera ha presentato alla Commissione elettorale centrale albanese di un referendum sulla creazione di una federazione di Albania e Kosovo. Nel progetto ‘rossonero’, quest’entità dovrebbe poi aderire all’Unione europea, ma il problema di fondo è che non tutti i paesi riconoscono il Kosovo come Stato indipendente e la Serbia è proprio uno di questi. La federazione sarebbe il primo passo verso la creazione di fatto della “Grande Albania”, che successivamente diventerebbe un polo di attrazione per gli albanesi presenti in tutti i paesi balcanici. La proposta di referendum ha già ricevuto le critiche degli Stati Uniti: Alexander Arvizu, ambasciatore Usa a Tirana, ha affermato che la consultazione e il nazionalismo non servono alle aspirazioni di integrazione euro-atlantica dell’Albania.

L’influenza nazionalista sulla diplomazia albanese potrebbe creare tensioni anche con la Grecia. A complicare le relazioni tra Atene e Tirana potrebbe essere il caso ciamuriota. I ciamurioti sono albanesi fuggiti dalla Grecia settentrionale all’estero (moltissimi in Albania) nel periodo 1912-1945. Come perdura ufficialmente lo stato di guerra tra Albania e Grecia, così non è stata ancora abolita una legge greca in vigore dai tempi di guerra che legittima la confisca delle proprietà degli albanesi in territorio ellenico. Attualmente è al vaglio del parlamento di Tirana una risoluzionepresentata dal Partito per giustizia, integrazione e unità (Pdiu) – formazione che rappresenta i ciamuriotiresidenti in Albania – che chiede per i ciamurioti il ripristino del diritto di proprietà sulle terre abbandonate e la restituzione della cittadinanza greca che gli è stata revocata. Per Atene il caso è ufficialmente inesistente; l’approvazione della risoluzione potrebbe solo danneggiare le relazioni bilaterali tra Grecia e Albania.

La sirena nazionalista potrebbe portare l’Albania nel vortice della conflittualità con i vicini. Questo rischio è ancor più realistico se Tirana deve fare a meno di una prospettiva europea. L’adesione all’Ue rimane il primo obiettivo diplomatico dell’Albania, ma l’avvicinamento a Bruxelles è in stallo per i numerosi i problemi legati alla mancata creazione di un pieno stato democratico di diritto.