(Afghanistan) La lunga marcia dell’Afghanistan (Alessandro Marrone, AffarInternazionali, 21 febbraio 2013)
“Ho perso due figli nella guerra civile. Ora discuto in Parlamento con quelli che li hanno ammazzati. Perché? Perché ho altri cinque figli a cui pensare”. Colpisce per la sua franchezza questa dichiarazione di una deputata afgana sulla situazione nel suo paese, mentre la Nato è impegnata a trasferire alle forze locali il compito di garantire la sicurezza.
È uno degli elementi emersi dalla recente conferenza organizzata dalla Nato Defence College Foundation in cooperazione con lo Iai e il Nato Defence College, che ha esaminato la situazione attuale, gli scenari futuri e il ruolo della comunità internazionale.
Oltre lo stallo
La situazione in Afghanistan è complessa e i dati, anche contraddittori, vanno letti con attenzione. Il numero degli attacchi della guerriglia è diminuito, ma ne è migliorata la pianificazione. Le forze di sicurezza afgane hanno raggiunto gli obiettivi fissati in termini di consistenza numerica, circa trecentomila unità tra esercito e polizia, ma il tasso di abbandono volontario da parte di soldati - che vengono sostituiti da nuove reclute - è relativamente alto.
L'economia dell'Afghanistan è in forte crescita, ma ciò dipende in gran parte dagli aiuti ricevuti dalla comunità internazionale e dall’esportazione di oppio.
Il quadro afgano va valutato rispetto al contesto regionale più che con parametri occidentali. Il tasso di corruzione, ad esempio, è alto se comparato a quelli europei, ma non è diverso da quello dei paesi confinanti.
Vanno inoltre, considerate le tendenze in corso nel paese: dieci anni di educazione primaria su larga scala hanno accresciuto il tasso di alfabetizzazione della popolazione in misura esponenziale rispetto al recente passato, e la scolarizzazione dell'attuale generazione post-Talebani avrà un impatto duraturo.
Nel complesso la transizione della responsabilità della sicurezza dalla Nato al governo afgano avviata nel 2011 sta procedendo senza grandi problemi. Con l’annuncio lo scorso 31 dicembre della quarta tranche di aree entrate in transizione, il processo di passaggio di consegne riguarda oggi 23 province su 34, dove vive lo 87% della popolazione afgana, e non è avvenuto un drastico peggioramento della situazione.
L'Afghan National Army si sta dimostrando l'istituzione afgana in condizioni migliori, mentre maggiori carenze registrano le forze di polizia e ancora di più il sistema giudiziario e in generale la pubblica amministrazione civile.
Verso le elezioni
Cruciale sarà l'effettiva organizzazione di elezioni presidenziali sufficientemente inclusive e regolari. Il voto è previsto per aprile 2014, ma la tempistica non è certa né è assodato che il presidente afgano Hamid Karzai rispetti il vincolo costituzionale dei due mandati e non si ricandidi per la terza volta. I vari attori della società afgana, dai gruppi di interesse a quelli etnici, dai circoli governativi all'opposizione presente in Parlamento, hanno un comune obiettivo nel non far deragliare la transizione e il processo politico.
Tuttavia hanno anche specifici e divergenti interessi rispetto alla direzione che tale processo dovrebbe prendere, perciò la vera questione riguarda la capacità dei vari gruppi afgani di trovare un compromesso, per lo meno sulle regole del gioco. In questo puzzle rientrano anche coloro che oggi si oppongono con le armi al governo afgano e alla missione Nato, e non è chiaro quali progressi possano essere fatti nell'ambito del processo avviato con l'apertura di un ufficio a Doha deputato ad ospitare contatti con leader talebani.
Uno scenario plausibile post-2014 potrebbe essere caratterizzato dai seguenti elementi: uno stato afgano, finanziato dalla comunità internazionale, in grado di garantire un minimo di controllo del territorio e ordine pubblico impedendo sia lo scoppio della guerra civile sia la ricostituzione di santuari terroristici; una rappresentanza politica ampia del mosaico sociale afgano, inclusi gruppi di talebani oggi parte della guerriglia che potrebbero accantonare le armi per giocare il gioco politico in base alle regole costituzionali, in un certo senso simile a quanto fa Hezbollah in Libano; una certa autonomia per le varie realtà locali, provinciali e regionali, all'interno dello stato unitario afgano, come di fatto sta avvenendo in un altro paese mediorientale oggetto di regime change da parte degli Stati Uniti, l'Iraq; una costituzione islamica e democratica che garantisce un certo equilibrio tra la tutela dei diritti umani, specie delle donne, e le radici religiose-culturali della società afgana.
Impegni e scenari
Se la comunità internazionale ritiene questo scenario un obiettivo realizzabile, cosa può ragionevolmente fare per raggiungerlo? Poche cose, ma estremamente importanti. In primo luogo gli Stati Uniti dovrebbero siglare in tempi brevi il Bilateral Security Agreement attualmente in fase di negoziazione con l’Afghanistan, sulla base del Strategic Partnership Agreement firmato dai due paesi a maggio 2012, prevedendo la presenza stabile e ufficiale di basi americane sul suolo afgano. Ciò scoraggerebbe i paesi confinanti dal competere per influenzare il paese al punto da riaccendere conflitti etnici intra-afgani.
La Nato dovrebbe assicurare per il periodo post-2014 una missione sufficientemente robusta quanto ad addestratori, truppe speciali ed assetti per l’intelligence in modo da sostenere adeguatamente le forze afgane nell'opera di contrasto alla guerriglia e controllo del territorio, e al tempo stesso dissuadere alcuni gruppi afgani dal ricorso alla forza per decidere l'equilibrio di potere in determinate aree.
La comunità internazionale nel suo complesso dovrebbe infine assicurare i finanziamenti necessari sia a pagare il costo delle forze di sicurezza e della burocrazia afgana almeno per il prossimo quinquennio, sia a sostenere investimenti su infrastrutture ed attività economiche diverse dalla produzione di oppio. Tali finanziamenti dovrebbero essere vincolati all'impegno da parte delle autorità afgane nell'assicurare una tutela accettabile dei diritti umani.
Il costo un impegno internazionale del genere in fatto di truppe, assetti e finanziamenti, sarebbe comunque di gran lunga minore di quello sostenuto nell’ultimo quinquennio di operazioni miliari Nato su larga scala. Sarebbe tuttavia decisivo per evitare un collasso delle fragili istituzioni afgane, come quello avvenuto nel 1992 appena cessarono gli aiuti sovietici al governo afgano di Najbullah, e favorire il consolidamento di uno stato auto-sostenibile nel lungo periodo.
Se è vero che con la transizione in corso il futuro dell'Afghanistan è sempre più nelle mani degli afgani, è anche vero che queste mani hanno bisogno di tempo e forze per afferrarlo davvero.
Alessandro Marrone è ricercatore dell'Area Sicurezza e Difesa dello IAI.