(Eritrea) Cosa è successo dopo l’ammutinamento in Eritrea (Barbara Maria Vaccani, Meridiani, 13 febbraio 2013)
In Eritrea si sono concluse domenica 10 febbraio le celebrazioni per la commemorazione della battaglia di Massawa del 1990. La televisione di Stato, EriTv, non ha trasmesso il tradizionale discorso del presidente del paese, Isaias Afewerki e pare che il dittatore non abbia proprio presenziato alla cerimonia, spezzando così una tradizione lunga 21 anni.
La battaglia di Massawa, o operazione Fenkil, portò nel 1990 alla conquista della città di Massawa da parte delle truppe del Fronte di liberazione del popolo eritreo che combattevano da trent’anni per l’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia. Le truppe etiopiche cominciarono a ritirarsi sull’altopiano, dove si trova Asmara e poco più di un anno dopo i combattenti eritrei ebbero ragione dei soldati etiopi (anche se l’indipendenza formale dell’Eritrea venne sancita con un referendum due anni dopo, nel 1993). La trentennale guerra di liberazione occupa uno spazio speciale nella memoria del popolo eritreo. Isaias Afewerki non è mai mancato all’appuntamento, tranne, appunto, quest’anno (non se ne è certi perché, nonostante Twitter e i social media, reperire informazioni dall’Eritrea rimane un’impresa ardua).
Isaias Afewerki, prima di diventare presidente del paese, è stato il comandante del Fronte di liberazione del popolo eritreo, la formazione che ha portato avanti la guerriglia per la liberazione dall’Etiopia. Una volta dichiarato presidente dopo il referendum del 1993, però, il leader del movimento di liberazione si è velocemente trasformato in un despota autoritario. Le elezioni presidenziali previste per il 1997 non si sono mai svolte e Isaias Afewerki continua a rimanere capo dello Stato, presidente dell’Assemblea nazionale (il parlamento fantoccio) e segretario del Fronte popolare per la democrazia e la giustizia, il partito di Stato.
La propaganda di regime ha sempre dipinto il presidente come un uomo forte e senza timore e l’Eritrea come una nazione gloriosa e dall’avvenire prospero e brillante (previsioni che sembrano quasi una presa in giro considerando il reale stato delle cose). Ma l’operazione Forto, come è stato chiamato l’ammutinamento del 21 gennaio, ha messo in questione la solidità del presidente.
Ad Asmara niente sembra esser cambiato dopo l’ammutinamento. Ma fuori dal paese la mobilitazione degli eritrei espatriati per sostenere l’operazione Forto e chiedere un’apertura democratica è stata considerevole. Se l’Eritrea conta sei milioni di abitanti, sono tra i tre e i cinque milioni gli eritrei che risiedono all’estero. A partire dal 21 gennaio e fino alla scorsa settimana cittadini espatriati, attivisti per la fine del regime di Isaias e gruppi di opposizione (anche questi tutti rigorosamente all’estero) hanno portato avanti un intenso battage, soprattutto su Twitter, lanciando l’hashtag #Forto2013.
Oltre agli appelli sui social media, la comunità eritrea all’estero ha manifestato davanti alle ambasciate e ai consolati eritrei all’estero, riuscendo in alcuni casi ad entrare negli edifici delle rappresentanze. Si sono avute proteste a Londra, Washington, Francoforte, Stoccolma, Melbourne, Tel Aviv, Addis Abeba (davanti al quartier generale dell’Unione africana) e Roma.
Il regime ha continuato ha negare gli avvenimenti del 21 gennaio. L’ambasciatore eritreo in Gran Bretagna e Irlanda ha rilasciato un’intervista a Press TV, emittente di Stato iraniana il 12 febbraio: “non c’è stato alcun colpo di Stato in Eritrea. Non c’è stato alcun movimento dell’esercito, nessuna instabilità, era un giorno normale”. Alla domanda se gli ammutinati avessero effettivamente letto un comunicato alla tv di Stato l’ambasciatore ha risposto che “No, non è successo niente […] Il colpo di Stato non è successo nella vera Eritrea, il colpo di Stato era un’immagine di quanti vogliono vedere dell’instabilità in Eritrea”. L’intervista procede e l’ambasciatore spiega che i responsabili di quest’immagine sarebbero i media occidentali, che incentiverebbero una campagna di disinformazione per cospirare contro il governo dell’Eritrea.
Dopo l’ammutinamento c’è stata una nuova stretta sull’informazione, in un paese dove già non è presente alcun corrispondente estero (tutti cacciati) e dove la stampa è solo quella controllata dal governo. Dai primi di febbraio Al Jazeera è oscurata in Eritrea sia in versione inglese che in versione araba.
La scorsa settimana, però, è successo qualcosa anche ad Asmara: lungo Liberation Avenue, il corso principale della città, sono comparsi dei volantini con scritte di protesta. Un episodio raro per il regime eritreo, talmente spietato da aver scoraggiato ogni minimo segnale di dissenso da parte della popolazione. E l’11 febbraio Afewerki si è deciso a rompere il silenzio sugli avvenimenti del 21 gennaio, ma solo per ribadire che non esiste alcun problema e che i responsabili del polverone sono “nemici corrotti”.
La sorte dei soldati protagonisti dell’ammutinamento rimane sconosciuta (dato che non è certo di buon auspicio). Difficile anche dire quale sia la presa e il controllo di Isaias sull’esercito. L’Eritrea è il secondo paese al mondo per numero di soldati, caratteristica dovuta all’obbligatorio e infinito servizio civile che tutti i cittadini (donne comprese) devono allo Stato. Pare che ci siano almeno due generali che si sono distanziati dalla linea del presidente, Filipos Woldeyohannes e Saleh Osman. C’è da chiedersi da che parte starebbero le truppe nel caso di un colpo di forza contro Isaias e il suo regime.