(Asse bolivariano) Gioie, dolori e cambiamenti dell’asse bolivariano (Niccolò Locatelli, Limes online, 22 febbraio 2013)

24.02.2013 18:30

Chàvez torna il patria ma la sua salute non migliora. Il Venezuela svaluta e la Bolivia nazionalizza. Correa vince ma non sarà l'erede di Hugo. Prove di distensione tra Cuba e gli Stati Uniti. L'universo di VeneCuba è in evoluzione.


[Carta di Laura Canali]

 

Cominciamo dal Venezuela: lunedì 18 febbraio il presidente Hugo Chàvez ha fatto ritorno in patria da Cuba, dove era ricoverato da oltre due mesi per curare un cancro che lo ha costretto a sottoporsi a quattro operazioni. Il rientro, annunciato sul profilo twitter dello stesso Chàvez e preceduto dalla pubblicazione di alcune foto del presidente con le figlie sul suo letto d'ospedale a L'Avana, non sembra preludere alla ripresa dell'attività politica.

 

Anzi, il ministro dell'informazione Ernesto Villegas ha dichiarato che l'insufficienza respiratoria emersa dopo l'operazione persiste e "la tendenza finora non è stata favorevole". L'ipotesi che il presidente sia rientrato in Venezuela per passare in patria la fase terminale della sua malattia - e della sua vita - è ragionevole: la sanità venezuelana è peggiore di quella cubana, quindi non sembrerebbe sensato proseguire le cure in patria. A meno che, appunto, non ci sia più nulla da fare. È vero altresì che sulla salute di Chàvez circolano da tempo voci (in passato erroneamente rilanciate anche da chi scrive) finora rivelatesi infondate. Non resta che attendere.

 

L'altra novità proveniente dal Venezuela è decisamente meno ambigua e riguarda la svalutazione del 30% del bolívar, la moneta nazionale. Una mossa che il mondo finanziario giudica necessaria, arrivata in ritardo e insufficiente. Caracas ora godrà di un export più competitivo e potrà riassestare le casse dello Stato, anche se c'è il rischio che aumenti l'inflazione (che a gennaio è stata del 22% su base annua). La scelta indica che in questa fase la priorità, Chàvez o meno, è risanare l'economia.

 

Mentre Chàvez rientrava in patria, Rafael Correa - in carica dal 2007 - vinceva le elezioni presidenziali in Ecuador. La coincidenza temporale ad alcuni è parsa un simbolo dell'ideale passaggio di consegne tra due leader che hanno molto in comune: dall'attenzione alle classi povere allo scarso rispetto per la libertà di stampa, dalla retorica incendiaria contro l'opposizione ad alcune prese di posizione particolarmente sgradite agli Stati Uniti (basti pensare all'asilo diplomatico offerto dall'Ecuador al creatore di WikiLeaks Julian Assange).

 

Ciononostante, a Correa mancano due elementi fondamentali che Chàvez invece possiede: la leadership internazionale e i soldi. Il presidente ecuadoriano, pur condividendo molte delle posizioni e dei progetti internazionali del suo omologo venezuelano - compresa l'Alba - non ha mai elaborato un disegno geopolitico per fare del suo paese una potenza regionale. Ha già detto che non ha intenzione di elaborarlo ora, ma anche se cambiasse idea sarebbe privo dei fondi necessari all'impresa. L'economia dell'Ecuador è pari a circa un quarto di quella venezuelana (e il petrolio è meno): Quito non potrebbe permettersi di sussidiare gli Stati della regione in cerca di alleanze come ha fatto in questi anni Caracas.

 

Negli stessi giorni, la Bolivia procedeva alla nazionalizzazione di Sabsa, un'impresa spagnola che controlla i principali aeroporti del paese. Una mossa tipica del governo di Evo Morales, non disdegnata anche da Chàvez e Correa. Per non generalizzare, è necessario un caveat. Come ha specificato il presidente boliviano, la decisione non è indice di un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti delle companies private - soprattutto di quelle spagnole: "Le imprese private che investono non hanno nulla da temere, hanno il diritto di fare profitti": il problema si pone con quelle che non investono. Intervenire contro queste ultime in una fase in cui la Bolivia è tra i cinque Stati latinoamericani cresciuti di più nel 2012, mentre i problemi della Spagna sono noti, è senza dubbio più agevole.

 

Cuba ha salutato Chàvez e accolto una delegazione proveniente dagli Usa: sette membri del Congresso sono arrivati sull'isola per cercare di migliorare le relazioni bilaterali. Hanno incontrato il presidente Raúl Castro e Alan Gross, il cittadino statunitense che lavorava per Usaid arrestato nel 2009 con l'accusa di spionaggio. Non lo hanno riportato in patria (L'Avana in cambio chiede la liberazione di cinque suoi agenti dei servizi segreti arrestati a Miami nel 1998) ma sembra che la visita sia stata comunque positiva.

 

Washington potrebbe finalmente togliere Cuba dalla lista Usa degli Stati sponsor del terrorismo, che comprende anche Siria, Iran e Sudan e prevede una serie di sanzioni. L'isola è in questa lista dal 1982: una sua rimozione favorirebbe senza dubbio la distensione tra gli Stati Uniti e il regime dei Castro. Come scritto, non è facile ma Obama e Kerry sono gli uomini giusti per provarci.

 

Tante notizie dall'asse bolivariano in questi ultimi giorni, e una certezza: si tratta di un universo in evoluzione che non ruota solo attorno alla salute di Hugo Chàvez.