(Nigeria) Boko Haram, l'Inghilterra e le prove che mancano (Misna)
Uno strumento di prevenzione, perché a oggi prove di una presenza di Boko Haram in Inghilterra non ce ne sono: esperti del Royal United Services Institute (Rusi) descrivono in questi termini alla MISNA l’inserimento del gruppo nigeriano nella lista delle organizzazioni soggette alla Legge anti-terrorismo.
“Sulla stampa britannica sono comparse varie storie su flussi di denaro sospetti dal Regno Unito alla Nigeria – dice Raffaello Pantucci, specialista del centro studi londinese in terrorismo internazionale – ma finora non è stato scoperto alcun elemento certo su una presenza e un’attività di Boko Haram”. Secondo l’esperto, l’inserimento del gruppo nella lista delle 49 organizzazioni già soggette alle norme anti-terrorismo in vigore dal 2000 mira anzitutto a facilitare indagini in chiave preventiva. “Negli ultimi quattro anni – sottolinea Pantucci – Boko Haram ha compiuto numerosi attentati nel nord della Nigeria e in alcuni paesi vicini, in una regione dell’Africa dove Londra ha molti interessi”. È significativo che nella lista delle organizzazioni terroristiche compaia già da tempo Ansaru, una fazione dissidente di Boko Haram ritenuta responsabile dell’uccisione nel marzo 2012 dell’ingegnere inglese Chris McManus e del suo collega italiano Franco Lamolinara nella città di Sokoto.
Il gruppo nigeriano è stato definito dal ministro degli Interni britannico Theresa May “affiliato ad Al Qaida” alla stessa stregua dei ribelli somali di Al Shabaab, già da tempo nella lista delle organizzazioni terroristiche. Gli elementi di perplessità, però, restano diversi. Uno di questi riguarda la provenienza dei nigeriani oggi residenti nel Regno Unito. Secondo le stime del Royal United Services Institute, in nove casi su dieci si tratta di persone originarie del sud a maggioranza cristiana del paese. “Questo fatto – sottolinea Pantucci – appare in contrasto con la tesi di un rischio elevato di infiltrazioni da parte di un gruppo come Boko Haram, che sostiene di battersi per l’applicazione della legge islamica”.
Almeno per ora, dicono alla MISNA, in Inghilterra preoccupa di più Al Shabaab. Tra il 2009 e il 2010 è stato processato un uomo, Mohammed Yusuf, accusato di aver curato un sito internet che sosteneva da Londra i ribelli in lotta contro il governo di Mogadiscio. Secondo gli esperti del Rusi, il procedimento si è concluso con un’assoluzione anche perché allora Al Shabaab non era soggetto alle norme anti-terrorismo. Un altro caso controverso riguarda un cittadino inglese di origini libanesi, Bilal Berjawi, morto in Somalia nel 2012. Gli inquirenti britannici erano sulle sue tracce da tempo perché lo ritenevano al centro di una rete finalizzata al reclutamento di leve per Al Shabaab e al finanziamento del gruppo dall’estero. Proprio il mese scorso il rischio di flussi di denaro illeciti che possano alimentare attività terroristiche è stato addotto dal gruppo bancario Barclays come motivazione per l’interruzione dei servizi di money transfer verso la Somalia.
Secondo un censimento realizzato nel 2011, in Gran Bretagna vivono 174.000 persone nate in Nigeria. Più basso il numero dei somali, che nel Regno Unito costituiscono però una delle principali comunità immigrate di religione musulmana.