(In giro per il mondo) da agenzia Misna, 18 febbraio 2013

18.02.2013 12:11

(Ecuador) Correa rieletto, promette "più riforme" per il popolo.

Come previsto è stato riconfermato al potere il presidente uscente Raffael Correa, forte del 57% delle preferenze, mentre il principale sfidante, il banchiere Guillermo Lasso, è rimasto fermo al 23%. I dati finora diffusi sono relativi allo spoglio del 44% delle schede elettorali delle presidenziali e legislative di ieri. Lontano dietro, al terzo posto, c’è l’ex presidente Lucio Gutiérrez (2003-2005) che ha ottenuto soltanto il 5,9% dei consensi, seguito dal miliardario Álvaro Noboa che non ha superato il 3%; gli altri quattro candidati si attestano tra l’uno e il 3% dei voti espressi. Lasso ha già riconosciuto “una vittoria che merita rispetto”, quella ottenuta dall’economista 49 enne.

Affacciatosi al palazzo presidenziale di Quito, Correa rieletto ha promesso alla gente che “siamo qui per servirvi. Niente per noi tutto per voi: il popolo ha il diritto di essere libero”. Il presidente si è impegnato ad “approfondire la sua rivoluzione cittadina”, rafforzando il controllo dello Stato sull’economia, riducendo ulteriormente il tasso di povertà e stringendo i ranghi con i leader sudamericani di sinistra. Infatti Correa ha subito dedicato la sua nuova vittoria all’amico Hugo Chávez, il suo omologo venezuelano che da mesi sta lottando contro un tumore, promettendo di rilanciare l’Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra América (Alba). A capo dello Stato dal gennaio 2007, Correa è al suo terzo e ultimo mandato dopo essere già stato riconfermato alle elezioni anticipate del 2009.

Sono attesi per le prossime ore i risultati delle legislative in merito alle quali, finora, il Consiglio nazionale elettorale (Cne) non si è ancora espresso. Correa ha invece fatto riferimento alla possibile conquista di una confortevole maggioranza dei 137 seggi in palio, che potrebbe servirgli per far approvare dall’Assemblea nazionale una riforma agraria, nuove regole per lo  sfruttamento minerario e una legge sull’informazione, che sta già alimentando polemiche.

Da canto suo il principale sfidante, Lasso, ha dichiarato che “questa notte celebriamo la nascita dell’opposizione in Ecuador”, sottolineando che “siamo diventati la seconda forza politica”, in riferimento alla sua formazione di recente creazione. Il banchiere aveva fatto campagna con lo slogan “un altro Ecuador è possibile senza Correa”.

(Libia) Secondo anniversario rivoluzione, gli impegni del governo.

Sono culminate in piazza della Liberazione a Bengasi, il feudo della rivoluzione del 17 febbraio che portò alla destituzione del regime di Muammar Gheddafi, le celebrazioni del secondo anniversario cominciate venerdì ai quattro angoli della Libia tra ingenti misure di sicurezza. Un’equa condivisione delle risorse tra le varie regioni sancita dalla nuova Costituzione che verrà redatta in “tempi brevi” ma anche riforme nel settore della giustizia e a favore della riconciliazione nazionale: sono questi gli impegni presi dalle nuove autorità. A pronunciare l’atteso discorso è stato il presidente del Parlamento, Mohamed Al Megaryef, arrivato a Bengasi con diversi membri di spicco del governo con tempi e modalità che non sono stati resi noti in anticipo.

Da giorni il ministero degli Interni ha disposto migliaia di posti di blocco, non solo a Tripoli la capitale, vigilati dai militari nel timore di attentati e atti di violenza come quelli visti con certa frequenza nell’ultimo anno. Inoltre per l’occorrenza, dal 14 al 18 febbraio, sono stati chiusi i confini con Tunisia ed Egitto.

Da venerdì, in un clima presentato dai media come “festoso”, migliaia di cittadini sono scesi per le strade delle principali città, a piedi o in macchina, intonando slogan alla memoria dei “martiri della rivoluzione” e sventolando bandiere della nuova Libia, oggetto più ricercato del momento. Unico caso nel corso della Primavera araba, i libici sono i soli ad averla cambiata: con Gheddafi c’era il drappo monocolore verde, con la rivoluzione è tornato quello dei tempi della monarchia che a sua volta aveva preso il posto del tricolore dei colonialisti italiani. In un intervento pronunciato sabato, il primo ministro Ali Zeidan ha sottolineato che “l’allegria che ha contraddistinto lo spirito dei libici in questi giorni ci ha consentito di mostrare al mondo che siamo un popolo civilizzato che si è sollevato contro l’ingiustizia e la tirannia, conquistandosi la libertà”.

Ma a Bengasi, seconda città del paese, non sono mancate manifestazioni di segno opposto da parte di chi è critico nei confronti delle nuove autorità: a gran voce hanno chiesto “ulteriori progressi nell’attuazione degli obiettivi della rivolta”, ma soprattutto provvedimenti decisi per dare un nuovo impulso all’economia, favorire il decentramento del potere e una maggiore giustizia sociale. Nei mesi scorsi dimostrazioni si sono tenute a Bengasi e Baida – le due città nell’est della Libia da dove, nel 2011, partirono le rivolte – per denunciare uno stato di permanente marginalizzazione rispetto a Tripoli e alla Tripolitania. Le proteste sono stata collegate alla recente decisione della Società petrolifera nazionale (Noc l’acronimo inglese) di sospendere un piano che prevedeva il trasferimento dei suoi uffici da Tripoli a Bengasi. La Cirenaica ospita le maggiori riserve di petrolio libiche, ma – è la denuncia dei sostenitori della svolta federalista – non ha effettivo controllo su di esse e sulle rimesse che ne derivano.

(Tunisia) Ennahda sempre più diviso, proseguono consultazioni.

Riprendono oggi le consultazioni politiche per la formazione di un governo tecnocrate in un clima di tensione sempre più accesa all’interno stesso del partito al potere, Ennahda. “Il tempo non è importante, il più importante è l’interesse della Tunisia e la ricerca di una soluzione per il popolo e per la rivoluzione” ha dichiarato il primo ministro Hamadi Jebali, assicurando di aver già ottenuto ”risultati incoraggianti” e “progressi” per la formazione di un “esecutivo di competenze”. I colloqui con le principali formazioni politiche, ha riferito l’agenzia ufficiale ‘Tap’, si terranno come nei giorni scorsi a Dar Dhiafa, in una residenza di Cartagine, dopo un fine settimana segnato da significative manifestazioni svoltesi a Tunisi.

Secondo alcuni osservatori le trattative sono arrivate a un’impasse per via della posizione intransigente dell’ala più dura di Ennahda di cui è il portavoce Rached Ghannouchi, il suo storico leader. Migliaia di sostenitori del partito islamico moderato sono scesi sabato per le strade di Tunisi per dire “no” alla soluzione apolitica proposta da Jebali. “Ennahda non cederà mai il potere fin quando può contare sulla fiducia del popolo e sulla legittimità delle urne” ha dichiarato Ghannouchi durante il comizio tenuto sul centrale viale Bourguiba, ribadendo che non rinunceranno ai ministeri dell’Interno, degli Esteri e della Giustizia. Il partito ha ottenuto il 41% dei seggi all’Assemblea nazionale costituente (Anc) e dopo le elezioni di novembre 2011 si è visto attribuire i dicasteri chiave nell’esecutivo.

La stampa tunisina sottolinea il clima di “grande incertezza politica” e non esclude un fallimento dell’iniziativa del primo ministro che ha messo le sue dimissioni sul piatto della bilancia. “C’è da temere che il progetto, sostenuto da buona parte dell’opposizione e dell’opinione pubblica, venga sepolto nelle prossime ore, segnando l’ingresso del paese in un nuovo ciclo di trattative, tensioni e calcoli partigiani” ha scritto il quotidiano ‘Le Temps’. La soluzione proposta da Jebali ha finora raccolto il consenso del Congresso per la Repubblica (Cpr) del capo dello Stato Moncef Marzouki, di Ettakol del presidente dell’Assemblea nazionale costituente, Mustapha Ben Jafaar, del partito Wafa e del blocco parlamentare Libertà e dignità. Vede di buon occhio il suo progetto anche la potente centrale sindacale dell’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt) e buona parte delle organizzazioni della società civile.

Nel paese del Nord Africa, teatro due anni fa di una rivolta popolare che ha portato alla destituzione del longevo regime di Ben Ali, la crisi politica è emersa in tutta la sua forza dopo l’uccisione del leader di opposizione Chokri Belaid in circostanze ancora da chiarire. Essa ha però le sue radici nel permanente stato di crisi dell’economia nazionale che ha riacceso le piazze a più riprese negli ultimi mesi.

(Tanzania) Sgomento e dolore per l'assassinio di un sacerdote.

Shock e dolore per l’assassinio di un sacerdote cattolico sono stati espressi nell’isola di Zanzibar sia dai membri della piccola comunità cristiana che da tanti musulmani: lo dice alla MISNA monsignor Augustine Shao, il vescovo locale, all’indomani dell’agguato avvenuto nel cuore della “città vecchia”.

Secondo una ricostruzione fornita da responsabili di polizia e confermata da monsignor Shao, padre Evarist Mushi è stato ucciso a colpi di pistola mentre stava parcheggiando l’automobile di fronte all’ingresso della sua parrocchia di San Giuseppe. Erano le sette di mattina e il sacerdote doveva dire la messa della prima domenica di quaresima. A ucciderlo sarebbero stati alcuni uomini che lo attendevano e che sarebbero poi fuggiti in motocicletta.

Secondo il quotidiano della Tanzania The Guardian, in relazione all’omicidio la polizia ha già fermato tre sospetti. Sulle possibili motivazioni dell’agguato, però, non ci sono molti elementi. Una fonte della MISNA che ha conosciuto personalmente padre Mushi ricorda che il religioso era stato a lungo impegnato in un programma di lotta all’aids frutto di una collaborazione tra la Chiesa locale e i rappresentanti della comunità musulmana.

L’impegno di padre Mushi a favore del dialogo interreligioso è sottolineato anche dal vescovo, secondo il quale però negli ultimi tempi nell’isola e nell’arcipelago di Zanzibar il tradizionale clima di apertura e confronto tra le culture è apparso per certi versi a rischio. “La maggioranza dei musulmani vuole la pace e il dialogo – sottolinea monsignor Shao – ma negli ultimi due anni è cresciuto il peso di gruppi estremisti che secondo il governo riceverebbero finanziamenti dall’estero”. Uno dei nomi più ricorrenti è Uamsho, “risveglio” in lingua swahili, una formazione nata nel 2001 che si batte per una piena autonomia dell’arcipelago dalla Tanzania.

A Zanzibar l’agguato di ieri non è il primo contro un religioso cattolico. A Natale alcuni sicari avevano sparato a padre Ambrose Mkenda, che era rimasto ferito. Rispetto alla Tanzania l’arcipelago gode di uno statuto di semi-autonomia. Lo scorso anno era stato teatro di disordini dopo l’arresto di Sheikh Ponda Issa Ponda, dirigente di un’organizzazione ritenuta da fonti della MISNA “estremista e non rappresentativa degli orientamenti della maggioranza dei musulmani”.

(Egitto) Port Said, manifestazioni e clima di tensione.

Migliaia di persone hanno bloccato ieri l’accesso allo scalo marittimo di Port Said e ad altre zone nevralgiche della città egiziana chiedendo giustizia per le vittime di scontri avvenuti il mese scorso. I manifestanti hanno anche chiesto la revoca delle condanne capitali comminate a 21 persone in relazione alla morte di 72 persone avvenuta lo scorso anno allo stadio della città al termine della partita tra al Masry e i cairoti dell’Ahly.

La domenica della “disobbedienza civile” (così è stata chiamata dai promotori dell’iniziativa) si è svolta in un clima di tensione ma senza incidenti significativi. I dimostranti hanno promesso ulteriori iniziative nei prossimi giorni se le loro richieste non dovessero essere accolte dal governo. Tra queste ci sono le dimissioni del ministro degli Interni Mohamed Ibrahim, la revoca di un coprifuoco notturno imposto sulla città, la nomina di un giudice indipendente che faccia luce sul massacro dello scorso anno.

A rafforzare i timori di una possibile escalation della situazione ha contribuito un incidente avvenuto ieri al Cairo dove tifosi dell’Ahly hanno assaltato la squadra di pallavolo di Port Said, Rabat wal Anwar, in trasferta nella capitale egiziana.

(Venezuela) Chavez annuncia rientro a Caracas.

“Siamo tornati di nuovo nella patria venezuelana. Grazie Dio mio!! Grazie amato popolo!! Qui continueremo il trattamento”.

Così, attraverso Twitter, il presidente venezuelano Hugo Chávez ha annunciato poco fa il suo rientro in patria dall’Avana. Il presidente ha ringraziato anche le autorità e la popolazione cubane, dicendosi fiducioso sulla sua guarigione. Non sono noti altri particolari sul suo rientro in Venezuela.

Chávez aveva raggiunto la capitale cubana il 10 dicembre per sottoporsi al quarto intervento chirurgico per la recidiva di un cancro diagnosticatogli nel giugno 2011; pochi giorni prima, l’8 dicembre, aveva ammesso per la prima volta la possibilità di non farcela a inaugurare il terzo mandato conquistato alle urne ad ottobre, designando quello che avrebbe voluto come suo successore, il suo vice Nicolás Maduro.

Il 10 gennaio, come previsto dalla Costituzione, Chávez ha cominciato formalmente il suo nuovo mandato, ma senza prestare giuramento di fronte all’Assemblea nazionale. L’articolo 231 della Carta prevede infatti che nel caso in cui per un “motivo sopraggiunto” il presidente eletto non potesse insediarsi nella data prestabilita, potrà farlo in un secondo momento, senza una scadenza precisa, di fronte al Tribunale supremo di giustizia (Tsj).

(Nigeria) Bauchi, tecnici stranieri rapiti dopo assalto a caserma.

Sette tecnici stranieri sono stati sequestrati da un commando armato nel nord della Nigeria, durante quella che la stampa locale ha descritto come una vera e propria operazione militare. Per ora non ci sono state rivendicazioni, ma i sospetti sembrano concentrarsi su gruppi islamisti riconducibili all’etichetta Boko Haram.

Il raid è scattato sabato notte nella cittadina di Jama’are, nello Stato nord-orientale di Bauchi. Secondo le fonti del quotidiano The Vanguard, l’irruzione nel cantiere della società di costruzioni libanese Setraco ha seguito un assalto a una caserma di polizia e a una prigione. Stando a indiscrezioni per ora non confermate, negli scontri a fuoco sarebbero rimasti uccisi 12 soldati e poliziotti. Di sicuro, dal cantiere sono stati portati via cittadini di varie nazionalità: insieme con l’ingegnere italiano Silvano Trevisan, sessantanovenne originario della provincia di Venezia, un inglese, un greco e quattro libanesi.

Nell’ultimo anno e mezzo i sequestri di tecnici stranieri nel nord della Nigeria sono stati diversi. In alcuni casi a rivendicarli è stato Ansaru, un gruppo nato da una scissione interna a Boko Haram. Alcuni esperti sostengono che Ansaru abbia legami con Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) e altre formazioni armate che operano nell’area del Sahel. Proprio Ansaru nel dicembre scorso aveva rivendicato l’ultimo sequestro di un europeo, un francese, avvenuto nello Stato di Katsina. Il rapimento era stato presentato come una ritorsione per le pressioni di Parigi in favore di un intervento militare contro i gruppi islamisti che controllavano il nord del Mali, un intervento cominciato effettivamente l’11 gennaio.

(Sahara Occidentale) Gdeim Izik: pesanti condanne contro attivisti sahrawi.

Pesanti condanne sono state comminate da un tribunale militare di Rabat a 24 attivisti sahrawi detenuti da più di due anni in relazione a proteste pacifiche represse con la forza dalle autorità di Rabat nel novembre 2010.

Secondo varie fonti locali il tribunale ha comminato l’ergastolo in otto casi, ha stabilito pene fra i 20 e i 30 anni di reclusione per 14 degli imputati e una condanna di due anni per i restanti due.

Inutili sono stati gli appelli per la liberazione dei prigionieri arrivati in questi mesi sia da organizzazioni non governative internazionali sia da alcuni paesi.

Quasi tutti gli imputati erano stati arrestati nel corso dello smantellamento del campo di Gdeim Izik montato a pochi chilometri dalla città di El Aayun: l’iniziativa, pacifica, intendeva sensibilizzare su una disparità di trattamento fra sahrawi e cittadini marocchini stanziati nell’ex colonia spagnola occupata nel 1975 da Rabat .

Secondo le ricostruzioni fornite dalle autorità, 11 persone – tra cui degli agenti di polizia – hanno perso la vita negli scontri seguiti all’irruzione delle forze di sicurezza nell’accampamento di Gdeim Izik. Gli imputati hanno dovuto rispondere dei reati di omicidio premeditato, violenza contro le forze di sicurezza e mutilazione di cadaveri.

Il Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro) ha invece sostenuto che nell’operazione dell’8 novembre 2010 per lo smantellamento di Gdeim Izik, sfociata in disordini e violenze che coinvolsero la vicina città di El Ayun, 36 sahrawi hanno perso la vita, 723 sono stati feriti e 163 arrestati.

Brevi dall'Africa.

SOMALIA – Una vittima e un ferito: è il bilancio dell’attentato che si è verificato sabato nei pressi di un noto ristorante, su una spiaggia molto frequentata di Mogadiscio. Lo hanno riferito fonti di sicurezza della capitale, precisando che l’autobomba era parcheggiata nei pressi del ‘Lido Beach’ e che la potente deflagrazione ha causato ingenti danni nell’area circostante. L’attentato, che non è stato rivendicato, si è verificato mentre nella regione del Basso Shabelle è in corso un’offensiva dell’esercito somalo sostenuto dalle forze dell’Unione Africana; sono stati riconquistati tre importanti roccaforti dei miliziani al Shabaab.

KENYA – Un attentatore è rimasto ucciso nella deflagrazione di un ordigno che stava collocando in una scuola dove si sarebbe dovuto svolgere un comizio in vista delle elezioni presidenziali in programma per il 4 marzo. L’episodio si è verificato a Garissa, città del nord-est del Kenya, negli ultimi mesi già teatro  di diversi attacchi terroristici e violenze da collegare con l’intervento militare keniano del 2011 nella confinante Somalia. Da alcuni giorni per motivi di sicurezza è in vigore un coprifuoco che fino al voto vieta i comizi dopo le ore 18.
GUINEA – E’ stato incolpato per “atti di tortura” il governatore di Conakry, il comandante Sékou Resco Camara, nel primo procedimento giudiziario mai aperto per fatti che coinvolgono alti responsabili militari in un paese segnato da cicli di violenze politiche rimaste impunite. Il reato in questione è stato commesso nell’ottobre 210 nella capitale, nel periodo di transizione politica guidata dal generale Sékouba Konaté. A denunciare Camara assieme al generale Nouhou Tiam (capo di stato maggiore generale dell’esercito) e al comandante Aboubacar Sidiki Camara (capo della guardia presidenziale) sono state organizzazioni di difesa dei diritti umani.

COSTA D’AVORIO – E’ stata dispersa con gas lacrimogeni una manifestazione di sostenitori dell’ex presidente Laurent Gbagbo, svoltasi nel fine settimana ad Abidjan, la capitale economica, per chiederne la scarcerazione. Secondo le autorità ivoriane la protesta non era stata autorizzata. L’ex capo di Stato è detenuto da novembre 2011 presso la Corte penale internazionale (Cpi) che potrebbe processarlo per crimini contro l’umanità commessi durante la crisi elettorale di due anni fa. Elezioni locali e regionali in agenda per il prossimo 21 aprile sono destinate ad essere boicottate dal Fronte popolare ivoriano (Fpi), il partito dell’ex presidente oggi prima forza di opposizione.

 TOGO – Una protesta pacifica indetta dall’opposizione si è svolta sabato a Lomé per chiedere alle autorità la liberazione di 24 persone agli arresti per il loro presunto coinvolgimento negli incendi del mercato della capitale e quello di Kara (nord) del mese scorso. Tra gli accusati c’è anche l’ex primo ministro Agbéyomé Kodjo, capofila dell’opposizione dell’Alleanza nazionale per il cambiamento (Anc). La vicenda giudiziaria si inserisce in un clima di tensione politica tra maggioranza e opposizione in vista delle legislature e amministrative, inizialmente previste per lo scorso ottobre ma rinviate al primo trimestre 2013.

GAMBIA – Il presidente senegalese Macky Sall e il suo omologo della Guinea equatoriale Teodoro Obiang Nguema sono diretti a Banjul per partecipare alle celebrazioni del 48° anniversario dell’indipendenza del Gambia. Il capo di Stato Yaya Jammeh è isolato sulla scena diplomatica africana dopo l’esecuzione di pene capitali lo scorso agosto e pesante accuse di violazioni dei diritti umani al suo governo. Oltre al nodo bilaterale della regione meridionale senegalese della Casamance, in conflitto da tre decenni, Dakar e Banjul intendono costruire un ponte e riabilitare diverse strade per avvicinare i due territori confinanti.

GIBUTI – Il dispiegamento di una missione di 40 osservatori elettorali sotto la guida dell’ex primo ministro maliano Sidibé Mariam Cissé Kaïdama: lo ha annunciato l’Unione Africana in vista delle elezioni in agenda per il 22 febbraio a Gibuti.

ZIMBABWE – Si terrà il 16 marzo il referendum costituzionale “per verificare l’opinione degli elettori e sapere se il nuovo progetto deve essere promulgato o meno”: è con queste parole che l’88enne presidente Robert Mugabe ha annunciato l’atteso appuntamento con le urne, a soli quattro mesi dalle presidenziali e legislative.