(In giro per il mondo) agenzia Misna, 19 febbraio 2013

19.02.2013 15:20

(Zimbabwe) Referendum e scommessa sul futuro (intervista).

“C’è un po’ di ottimismo” dice alla MISNA Gwinyayi Dzinesa, un ricercatore dell’Istituto sudafricano di studi sulla sicurezza che collabora sui temi della difesa con l’Università dello Zimbabwe. Le sue specializzazioni sono prevenzione dei conflitti e analisi del rischio. Quello che serve ad Harare, in un anno decisivo.

Il primo appuntamento è un referendum su un progetto di nuova Costituzione, in programma il 16 marzo. Poi, a meno di scosse impreviste, ci si preparerà alle elezioni presidenziali e legislative. Cinque anni fa andò male, la crisi politica finì nelle strade, ci furono violenze e vittime. Secondo Dzinesa, però, adesso si può guardare avanti. Lo spiega anche nel suo ultimo libro, intitolato “Costruzione regionale in Africa australe: progressi, problemi e prospettive”.

Tra un mese sei milioni di cittadini dello Zimbabwe potranno esprimersi sul progetto di nuova Costituzione. È una buona notizia?

“L’accordo sulla bozza di Costituzione e sul referendum è stato una svolta. Dopo quattro anni di trattative finalmente c’è un po’ di ottimismo. Molti credono che il voto si svolgerà senza incidenti. Alcuni che sarà una formalità perché tutti e tre i partiti più importanti sono a favore del ‘sì’. C’è però un altro punto di vista, molto diffuso nella cosiddetta società civile. Che il progetto di Costituzione sia il frutto di un compromesso tra i partiti incapace di riflettere le richieste di cambiamento della gente. Personalmente, penso che il referendum si svolgerà in modo pacifico e che la Costituzione sarà approvata con un ampio margine”.

La settimana scorsa il presidente della commissione elettorale Simpson Mutambanengwe si è dimesso motivando la decisione con problemi di salute. La nomina di un successore rischia di alimentare nuove tensioni tra i partiti?

“Negli ultimi tempi i rapporti tra lo Zanu-Pf del presidente Robert Mugabe, il Movimento per il cambiamento democratico del primo ministro Morgan Tsvangirai (Mdc-T) e quello del suo vice Arthur Mutambara (Mdc-M) sono stati improntati a una retorica conciliante. I toni delle dichiarazioni dei dirigenti lasciano sperare che i partiti possano sedersi a un tavolo, discutere e trovare un accordo accettabile per tutti. È anche probabile, però, che i due Mdc spingano per una riforma della commissione elettorale e la nomina di professionista rispettato e soprattutto indipendente. Alla fine a decidere sarà comunque il capo dello Stato. Lo prevede la Costituzione in vigore, quella degli accordi di Lancaster House del 1979”.

Esiste il rischio che le prossime elezioni siano segnate dalle violenze, come è accaduto nel 2008?

“Sì, il rischio esiste. Ma ci sono alcuni elementi che rafforzano la speranza di un esito differente. La Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadc) e l’Unione Africana sostengono la piena attuazione dell’Accordo politico globale che nel 2009 ha permesso la nascita del governo di coalizione. Con quella intesa i partiti dello Zimbabwe si sono impegnati a favorire lo svolgimento di elezioni libere e corrette. Proprio con l’obiettivo di evitare una ripetizione delle violenze del 2008, l’Unione Africana ha annunciato che subito invierà osservatori elettorali subito dopo il referendum. A incoraggiare, come accennavo, sono anche i toni delle dichiarazioni dei dirigenti dello Zimbabwe. Mugabe ha sottolineato più volte che lo Zanu-Pf dovrà vincere in modo regolare”.

Quanto è stato importante per l’accordo sulla Costituzione posticipare di 10 anni l’entrata in vigore della clausola che impone ai candidati alla presidenza di indicare un vice?

“Per Mugabe era un aspetto decisivo. Se fosse stata approvata la bozza originaria il presidente avrebbe dovuto di fatto identificare il suo successore prescelto, colui che in caso di decesso o impedimento permanente del capo dello Stato avrebbe assunto la guida del paese. Il rischio era amplificare le divisioni interne allo Zanu-Pf. Sulla base del nuovo testo, invece, in caso di vittoria alle elezioni il partito conserva il diritto di nominare un eventuale successore di Mugabe”.

Quanto è diviso lo Zanu-Pf?

“A oggi Mugabe è il collante che tiene unito il partito. Non è un problema da poco, perché il presidente è al potere dal 1980 e questo mese compirà 89 anni. Nello Zanu-Pf le fazioni sono almeno tre. La prima fa capo al vice-presidente Joice Mujuri, la seconda al ministro della Difesa Emmerson Mnagagwa, la terza alla cosiddetta “nuova generazione” e in particolare al ministro per i Diritti economici e la gioventù Saviour Kasukuwere.

E le Forze armate? Da che parte stanno?

“Stanno con chi difende meglio i loro privilegi e gli interessi coltivati in questi 30 anni. Ci sono anche ufficiali che temono di poter essere perseguiti per gli abusi commessi dal 2000 in poi. Oggi il loro partito è lo Zanu-Pf. Un partito contrapposto a forze politiche accusate di non aver partecipato alla lotta di liberazione e di essere al servizio dei ‘bianchi’ e dell’Occidente”.

Chi vince le elezioni?

“Ci sono tre scenari possibili. Nel primo lo Zanu-Pf conquista la presidenza con un margine ristretto. Nel caso di un voto credibile la comunità internazionale e in particolare l’Unione Europea potrebbero rispettarne l’esito, avviando una collaborazione con il nuovo governo. Nel secondo scenario vince l’Mdc-T e l’Unione Africana avrebbe il compito di garantire un trasferimento del potere senza spargimenti di sangue. La terza opzione è un primo turno senza vincitori e un ballottaggio tra Mugabe e Tsvangirai. In questo caso, come nel 2008, potrebbe rendersi necessaria una mediazione della Sadc. Non sarebbe impossibile la formazione di un nuovo governo di unità nazionale”.

(Afghanistan) Meno vittime civili ma più agguati contro i funzionari.

È raddoppiato nell’ultimo anno il numero dei civili assassinati in operazioni mirate della guerriglia talebana: lo calcolano gli esperti della Missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan (Unama), in un rapporto nel quale evidenziano però anche tendenze positive rispetto al periodo più drammatico della guerra.

In un rapporto pubblicato oggi si calcola che l’anno scorso i civili uccisi in agguati mirati sono stati 698. Rispetto al 2011 l’aumento sarebbe stato del 108%. Molto spesso, sottolineano gli esperti dell’Onu, le vittime erano funzionari pubblici o rappresentanti religiosi o tribali finiti nel mirino dei talebani per il loro sostegno al governo di Kabul.

Il dato positivo messo in evidenza dal rapporto è la prima riduzione complessiva dal 2007 del numero dei civili che hanno perso la vita a causa del conflitto. Lo scorso anno le vittime di questo tipo sono state 2754, circa il 12% in meno rispetto alle 3131 del 2011.

La guerra in Afghanistan è ripresa nel 2001, dopo il rovesciamento del governo dei talebani a seguito di un’invasione coordinata dagli Stati Uniti. Le nuove autorità di Kabul sono state sostenute da contingenti militari inviati dalla Nato, che dovrebbero lasciare l’Afghanistan nel corso del 2014.

(Sudafrica) Rustenberg: la polizia spara, i minatori scioperano.

 

I lavoratori di diverse miniere della più grande multinazionale del platino al mondo stanno scioperando oggi in segno di solidarietà con 13 colleghi feriti dalla polizia nel corso di scontri tra agenti e dimostranti avvenuti ieri nel nord-ovest del Sudafrica.

Secondo il portale di informazione Eyewitness News, l’inizio dello sciopero nelle miniere della regione di Rustenburg è stato confermato da un portavoce della Anglo American Platinum.

Ieri la polizia aveva aperto il fuoco su decine di lavoratori, coinvolti pare in un assalto all’ufficio locale di un sindacato legato al governo dell’African National Congress (Anc). L’episodio conferma i timori di una nuova fase di conflittualità nel settore minerario, il motore dell’economia nazionale. Particolarmente delicata appare la situazione della Anglo American Platinum, contestata dai lavoratori dopo l’annuncio di una “ristrutturazione” che potrebbe comportare già quest’anno 14.000 licenziamenti.

L’anno scorso il Sudafrica è stato attraversato da un’ondata di scioperi e rivendicazioni sindacali senza precedenti dalla fine del regime di apartheid. Nel paese è ancora aperta la ferita del massacro di Marikana: l’uccisione ad agosto da parte della polizia di 34 minatori che protestavano di fronte all’ingresso di una miniera di platino della multinazionale Lonmin, sempre nella regione di Rustenburg.

(Zimbabwe) Accordo tra i partiti sulla commissione diritti umani.

I partiti del governo di unità nazionale dello Zimbabwe hanno concordato la nomina del presidente di una nuova commissione per i diritti umani incaricata di monitorare su eventuali abusi o violazioni che dovessero essere commessi prima, durante o dopo le elezioni presidenziali e legislative in programma quest’anno.

A guidare l’organismo sarà Jacob Mudenda, un dirigente dello Zanu-Pf, il partito del capo dello Stato Robert Mugabe. Il nuovo presidente succederà al professor Reginald Austin, un avvocato di fama nazionale che aveva rinunciato all’incarico denunciando una subordinazione della commissione al governo e una cronica mancanza di risorse.

Secondo il quotidiano The Herald, ieri Mugabe, il primo ministro Morgan Tsvangirai e il suo vice Arthur Mutambara hanno anche annunciato un’intesa sulla nomina di un presidente della commissione elettorale. Il nome del candidato che sostituirà il giudice Simpson Mutambanengwe, dimissionario per motivi di salute, non è stato però ancora reso noto.

Quest’anno circa sei milioni di cittadini dello Zimbabwe saranno chiamati alle urne per la prima volta dopo la crisi elettorale e le violenze che accompagnarono il voto del 2008. Il primo appuntamento, in programma il 16 marzo, è un referendum su un progetto di nuova Costituzione.

(Guinea) Opposizione di nuovo in piazza per un voto trasparente.

Si sono svolte senza gravi incidenti e tra ingenti misure di sicurezze le manifestazioni indette dall’opposizione della Guinea per chiedere elezioni legislative trasparenti. Inizialmente vietate dalle autorità, in un secondo tempo le proteste sono state autorizzate dal presidente Alpha Condé, eletto democraticamente nel 2010.

A tre mesi dal voto programmato per il 12 maggio, dopo diversi rinvii, migliaia di sostenitori dell’opposizione sono tornati a chiedere la sostituzione dell’operatore sudafricano ‘WayMark’, scelto “non consensualmente” dal governo per procedere alla revisione del registro elettorale. Nel mirino delle critiche c’è anche la controversa Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni): nonostante recenti modifiche alla sua composizione, viene accusata di “parzialità”, di “malfunzionamenti” e di provvedimenti “apertamente favorevoli al governo”. Inoltre l’opposizione ha nuovamente chiesto che i guineani della diaspora possano votare all’estero, come del resto previsto dal codice elettorale. Le rivendicazioni dell’opposizione politica sono sostenute dal collettivo delle organizzazioni della società civile, che denuncia anche l’assenza di dialogo tra partiti e Ceni.

A Conakry sono stati dispiegati 4000 agenti di sicurezza per evitare disordini e violenze come quelli che si sono verificati durante le proteste tenute lo scorso anno. Partita dall’aeroporto, la marcia si è conclusa davanti al parlamento, nel centro della capitale. Altri cortei pacifici si sono svolti nelle città di Pita, Dalaba, Labé e Mamou. Il sito d’informazione ‘Guinéenews’ ha riferito di momenti di tensione a Kankan, feudo di Condé, dove la popolazione non ha risposto all’appello a manifestare: una scelta contestata da alcuni gruppi. A guidare le proteste di ieri è stato il capofila dell’opposizione, l’ex primo ministro Cellou Dallein Diallo dell’Unione delle forze democratiche di Guinea (Ufdg), sconfitto da Condé alle presidenziali, che ha denunciato “l’assenza di pace sociale nel nostro paese” e “la violazione continua delle leggi da parte del governo”.

Lo scorso novembre l’Unione Europea ha posto come condizione per lo stanziamento di 230 milioni di euro di aiuti lo svolgimento di elezioni “credibili e in tempi brevi”. Il mese successivo la Ceni ha annunciato la data del 12 maggio, che deve ancora essere confermata con un decreto del capo dello Stato, al massimo entro 70 giorni dal voto. In Guinea le ultime legislative risalgono al 2002, quando governava il generale Lansana Conté, morto nel 2008 dopo 24 anni alla guida dello Stato. Da allora il potere legislativo è nelle mani di un Consiglio nazionale di transizione (Cnt).

(Tunisia) Crisi politica, respinta proposta per un Governo tecnico.

E’ fallita l’iniziativa del primo ministro Hamadi Jebali per la formazione di un governo di competenze: lo ha annunciato in serata lo stesso Jebali, al termine di giorni di intense trattative con i principali partiti politici della Tunisia. “Vi dico chiaramente che l’iniziativa da me proposta non ha ottenuto il consenso di tutti ma la strada rimane aperta per trovare un compromesso sulla composizione del futuro esecutivo” ha detto il primo ministro all’agenzia ufficiale ‘Tap’, aggiungendo che “il tavolo di dialogo rimane aperto”. Jebali ha poi assicurato che “sono stati compiuti passi avanti significativi verso una nuova formula”, anticipando che “domani incontrerò il presidente (Moncef Marzouki) per parlare con lui delle prossime tappe in vista di una soluzione”. Diversamente da quanto dichiarato in passato, alla fine, malgrado il fallimento del suo progetto politico Jebali non ha rassegnato le dimissioni.

Nonostante l’opposizione interna di Ennahda, il cui storico leader Rached Ghannouchi è contrario alla formula di un governo tecnocrate, Jebali gode ancora del sostegno del suo partito che vuole mantenerlo alla guida dell’esecutivo. Ennahda ha ottenuto il 41% dei seggi all’Assemblea nazionale costituente (Anc) e dopo le elezioni di novembre 2011 si è visto attribuire i dicasteri chiave nell’esecutivo – Interno, Esteri e Giustizia – ai quali non intende rinunciare. Fonti vicine al Congresso per la Repubblica (Cpr), il partito del capo dello Stato Marzouki, hanno dichiarato ad agenzie internazionali che sarebbe già nel cassetto un accordo che prevede la formazione di un governo misto che includerebbe personalità politiche ed esperti apolitici.

Nel paese del Nord Africa, teatro due anni fa di una rivolta popolare che ha portato alla destituzione del longevo regime di Ben Ali, la crisi politica è emersa in tutta la sua forza dopo l’uccisione il 6 febbraio del leader di opposizione Chokri Belaid in circostanze ancora da chiarire. Essa ha però le sue radici nel permanente stato di crisi dell’economia nazionale che negli ultimi mesi ha riacceso le piazze a più riprese.

(Etiopia) Ogaden, minacce a compagnia petrolifera canadese.

Il Fronte di liberazione nazionale dell’Ogaden (Onlf), principale movimento ribelle e indipendentista, ha minacciato una società petrolifera canadese intimandole di astenersi dallo sfruttamento delle risorse minerarie contenute nel sottosuolo del sud–est dell’Etiopia. Lo riferisce un comunicato diffuso dal gruppo e parzialmente riportato dalla stampa sudanese, secondo cui l’Onlf ha accusato la Africa Oil Corportation (Aoc) di “cospirare con il governo di Addis Abeba” per sfruttare le risorse petrolifere della regione.

I ribelli indipendentisti hanno chiesto alla società e a tutte le compagnie straniere di astenersi dall’avviare esplorazioni nella regione “fino a quando non si raggiungerà un giusto accordo di pace con il governo, che consenta alle popolazioni dell’Ogaden di decidere delle loro ricchezze nei loro interessi”.

Nel 2010 il governo dell’allora primo ministro Meles Zenawi firmò degli accordi di pace con la principale corrente dell’Onlf. Da allora tuttavia, piccole fazioni dissidenti hanno annunciato di voler proseguire nella lotta armata. La regione – ritenuta potenzialmente ricca di giacimenti di idrocarburi – è isolata dal 2007 per volontà del governo che ha ritirato permessi ad associazioni umanitarie e progetti di cooperazione dopo che un attacco armato contro un’installazione cinese aveva provocato 74 vittime.

(Sudan) Monti Nuba, donne e bambini vittime di un bombardamento.

Una donna e due bambini uccisi, oltre a quattro feriti gravi, tra i quali ancora una donna: è il bilancio di un bombardamento dell’aviazione del Sudan nei pressi di un villaggio sui Monti Nuba, una regione ostaggio di un conflitto tra esercito e ribelli da oltre un anno e mezzo.

Secondo Voice of Peace, una radio cattolica che trasmette dai Monti Nuba, il bombardamento è avvenuto domenica nei pressi di Luwere. All’emittente alcuni testimoni hanno raccontato che le vittime sono rimaste uccise sul colpo mentre stavano lavorando in un campo.

I Monti Nuba sono una regione del Sudan situata al confine con il Sud Sudan, uno Stato divenuto indipendente nel 2011 dopo una lunga guerra civile. Dal giugno di quell’anno il conflitto tra l’esercito di Khartoum e i ribelli dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan-Nord (Splm-N) ha alimentato un’emergenza umanitaria non solo sui Monti Nuba ma anche nella vicina regione del Nilo Blu. È di ieri la notizia di un’avanzata dell’esercito sudanese nella zona di Mafo, nel settore sud-occidentale del Nilo Blu, al termine di una battaglia che avrebbe causato decine di vittime.

Secondo le stime dell’Onu, dai Monti Nuba e dal Nilo Blu più di 200.000 persone sono state costrette a fuggire oltre i confini con il Sud Sudan e l’Etiopia. Sempre stando ai dati delle Nazioni Unite, nelle due regioni gli sfollati o le persone colpite dal conflitto in vario modo sono 275.000 nelle zone amministrate dal governo sudanese e 420.000 in quelle controllate dai ribelli.

(Guinea Bissau) Società civile denuncia crisi transizione.

Organizzazioni della società civile della Guinea Bissau hanno sottoscritto ieri un comunicato congiunto per respingere l’ipotesi della creazione di un organismo a cui vadano competenze e poteri ora dell’Assemblea nazionale. La notizia è stata riferita da Radio Sol Mansi.

Le organizzazioni (una dozzina) esprimono in particolare parere contrario al progetto di una “Commissione multipartitica e sociale di transizione” ventilata da alcune formazioni politiche nei giorni scorsi, ritenendo che essa vada contro i principi della Costituzione; le stesse accusano inoltre le attuali autorità al potere e gli organismi regionali di responsabilità “nel collasso del processo di transizione”.

“La Guinea Bissau sta attraversando una fase di degrado sociale, di scioperi (l’ultimo quello degli insegnanti cominciato ieri, ndr), di aumento del costo della vita e di crisi economica” sottolineano le associazioni puntando il dito contro il governo e denunciando casi di malversazione e di sfruttamento illegale di risorse naturali.

La dura presa di posizione della società civile nazionale giunge a qualche giorno dal fallimento di un tavolo negoziale per la fissazione di un calendario elettorale. Su questo punto, sono intervenuti anche i vertici dell’esercito sostenendo che le elezioni “non sono una soluzione” e proponendo a loro volta un periodo di transizione di cinque anni.

Negli ultimi anni, la Guinea Bissau è stata scossa da una serie di pronunciamenti militari e da omicidi eccellenti che molti osservatori collegano alle lucrose attività collegate al traffico di cocaina dall’America latina all’Europa. A gestirle sono soprattutto quegli ambienti militari considerati dalla comunità internazionale il principale ostacolo a uno sviluppo democratico del paese e a una reale affermazione delle sue istituzioni civili. In seguito all’ultimo golpe, risalente al 12 aprile dello scorso anno, è stato avviato un processo di transizione tuttora in corso ma con gravi difficoltà.

(Africa) Si chiama "Perla" lo smartphone tutto ugandese.

Si chiama ‘Perla’ il primo smartphone completamente ideato e realizzato in Uganda: a progettarlo – riferisce il quotidiano The Monitor – sono stati quattro studenti della facoltà di ingegneria elettronica dell’università di Makerere a cui il governo di Kampala ha deciso di finanziare la produzione su vasta scala. Il prototipo sarà presentato alla stampa a giugno.

Lo smartphone è dotato delle applicazioni di ultima generazione, come sensori biometrici e Gps, e sarà solo l’ultimo gioiello di una lunga lista di successi in campo tecnologico ideati all’università di Makerere. È stato preceduto, ricorda la stampa, dalla prima vettura elettrica africana (Kiira) e da un autobus a energia elettrica (Kayoola).

“Come molti altri paesi africani l’Uganda è stata negli ultimi anni un mercato fruttuoso per le tecnologie straniere. Vogliamo dimostrare che certe cose sappiamo farle anche qui” ha spiegato Cosmas Mwikirize, ideatore del progetto.

‘Perla’ ha un antesignano che si chiama ‘Elikia’, che in linguala significa speranza, e che è il primo smartphone concepito in Africa, precisamente in Congo. In vendita in tre colori, nero, bianco e rosa, al prezzo di 85.000 franchi cfa (circa 129 euro) è stato progettato nella Repubblica del Congo ma assemblato in Cina, per motivi tecnici e logistici.

(Ecuador) Correa verso trionfo anche al congresso.

Il movimento Alianza País del presidente socialdemocratico Rafael Correa ha travolto l’opposizione anche alle legislative dopo la sua conferma alla guida dell’Ecuador con il 56,7% delle preferenze al voto di domenica.

In base a un “conteggio rapido”, autorizzato dal Consiglio nazionale elettorale (Cne), l’organizzazione Participación Ciudadana ha assegnato ad Alianza País 93 seggi sui 137 in palio al Congresso. Seguono il partito Creo, dell’ex banchiere Guillermo Lasso (secondo alle presidenziali col 23,3%), con 12 seggi, il Partido Social Cristiano con 7; gli altri schieramenti si dividono i seggi restanti.

Se i risultati ufficiali ratificheranno quelli del “conteggio rapido”, Correa potrà contare su un importante blocco legislativo, fondamentale per l’approvazione di una serie di leggi e riforme – tra cui quelle relative al settore agricolo, idrico, delle comunicazioni – da tempo bloccate dall’opposizione. Correa stesso domenica aveva anticipato che “una maggioranza all’Assemblea consentirà di approfondire con maggiore velocità questo cambiamento storico che è la Rivoluzione cittadina”, come il presidente chiama il suo progetto politico basato sul cosiddetto Socialismo del XXI secolo condiviso con il venezuelano Hugo Chávez.

La malattia che ha colpito Chávez e la schiacciante conferma alle urne proiettano peraltro l’economista Correa, 50 anni, sempre più sulla scena politica latinoamericana. Nelle prime dichiarazioni dopo il voto di domenica, il presidente, che si definisce “un cristiano di sinistra”, ha giudicato la sua vittoria “un trionfo della patria grande con cui consolidiamo la democrazia non solo in Ecuador ma in tutta la nostra America Latina”.

(Africa) Bene comune e democrazia nella lettera dei vescovi.

Partecipazione, bene comune e democrazia sono i temi di una lettera pastorale diffusa ad Accra dal Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (Secam/Sceam). Nel documento si sottolinea che elezioni libere e corrette sono un passaggio necessario sulla via della pace e dell’armonia sociale.

Il tema della democrazia è il primo a essere affrontato dai vescovi. “Nonostante in alcuni paesi siano stati rilevati una stabilità politica o quantomeno un cambiamento democratico – si legge nell’introduzione della lettera – al fine di promuovere la pace e la stabilità nel continente bisogna fare molto di più per rafforzare la credibilità delle elezioni e dei processi che le governano”.

Il contributo delle Conferenze episcopali si sviluppa nel riferimento costante all’esortazione post-sinodale di Benedetto XVI Africae Munus, un testo centrato sull’impegno della Chiesa per la giustizia, la pace e la riconciliazione. “Molte elezioni – osservano allora i vescovi – degenerano in confronti violenti prima, durante e dopo il loro svolgimento; inoltre, contenziosi elettorali irrisolti piantano i semi di possibili violenze in occasioni di consultazioni future”.

Nella lettera pastorale, intitolata “Governo, bene comune e transizioni democratiche in Africa”, i temi della partecipazione, dell’impegno civile e di una piena espressione della libertà si intrecciano e sovrappongono di continuo. La constatazione che “ogni nuova elezione” sia diventata “un momento pericoloso per l’Africa” si lega alla denuncia dell’egoismo e della corruzione di parte delle classi politiche. “Rivolgiamo – scrivono i vescovi – un appello ai leader africani affinché sviluppino una visione in grado di muovere l’Africa, una visione guidata dalla ricerca del bene comune, gelosa della sovranità del continente e concentrata con risolutezza a garantirne l’unità”.

Nella lettera si evidenzia che la qualità della direzione politica è fondamentale sia per il rispetto dei diritti a livello locale sia per la capacità di affrontare le sfide del mondo globale d’oggi. Il punto di partenza è che l’Africa “resta un continente povero” nonostante alcuni progressi realizzati nei settori della sanità e dell’istruzione e nonostante soprattutto le ricchezze naturali a sua disposizione. “Il continente – scrivono i vescovi – continua a essere preda di società multinazionali che ne saccheggiano le risorse; società che in alcuni casi evadono il fisco sia in Africa che nei loro paesi d’origine, portando i profitti delle loro attività in paradisi fiscali e privando le comunità locali di risorse alle quali hanno diritto”.

È anche da questa constatazione che nasce l’appello contenuto nella parte conclusiva della lettera. “La Chiesa – si sottolinea nel testo – invita la società civile, i leader africani, i popoli del continente e tutti i suoi partner e amici a unirsi per un nuovo inizio”. E il tema dell’unità, intesa come paradigma morale ma anche politico, torna ancora nei paragrafi successivi. “Una mano da sola non può fare un pacchetto” dice un proverbio africano citato dai vescovi. Il significato di queste parole è chiarito dal riferimento al “processo di integrazione politica” intrapreso attraverso l’Unione Africana, un processo necessario che deve però “consentire a tutti di esprimere se stessi e di affrontare le sfide dello sviluppo integrale del nostro continente”.

Brevi dall'Africa

COSTA D’AVORIO – Si apre oggi dinanzi alla Corte penale internazionale (Cpi) l’udienza di conferma dei capi di accusa a carico dell’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo, detenuto all’Aja da un anno e tre mesi. Entro il 28 febbraio i giudici della Cpi dovranno valutare l’esito dell’inchiesta e il contenuto di più di 3000 documenti ottenuti dal procuratore generale Fatou Bensouda per far processare Gbagbo come corresponsabile di crimini contro l’umanità commessi durante la crisi elettorale del 2010-2011 che lo ha opposto all’attuale capo di Stato Alassane Dramane Ouattara, una crisi conclusasi con un bilancio di 3000 vittime.

R.D. CONGO – Sette morti, tra i quali un bambino di tre anni ucciso da una pallottola vagante: è il bilancio degli scontri che lo scorso fine settimana hanno contrapposto miliziani Raia Mutomboki e soldati regolari (Fardc) a Punia, una località mineraria della provincia orientale del Maniema. Inoltre, nella vicina provincia del Sud Kivu sono stati segnalati combattimenti tra le stesse parti che, di fatto, stanno paralizzando le attività nella città di Shabunda. Lo scorso fine settimana i miliziani Raia Mutomboki avevano attaccato la città prima di ritirarsi nelle foreste. Secondo l’emittente locale ‘Radio Okapi’ gli abitanti sono rintanati in casa.

NIGERIA – E’ stato rivendicato dal gruppo islamista Ansaru il rapimento di sette tecnici sequestrati sabato notte nella cittadina di Jama’are, nello Stato nord-orientale di Bauchi. Con un comunicato diffuso via e-mail il gruppo ha annunciato che tiene in ostaggio “sette persone, di cui alcuni libanesi e loro colleghi europei che lavorano per la Setraco”. Ansaru, un gruppo nato da una scissione interna a Boko Haram che sarebbe legato ad Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi), aveva rivendicato altri rapimenti nei mesi scorsi.

ZIMBABWE – Una revoca delle sanzioni a carico di 21 personalità e 11 società dello Zimbabwe per ricompensare le riforme politiche in corso ad Harare è stata decisa dai ministri Esteri dell’Unione Europea, che hanno precisato che si tratta di divieti di viaggiare nei paesi del Vecchio continente e di misure di congelamento di beni e fondi. In tutto erano 112 le persone colpite da simili restrizioni, in vigore dal 2002. Bruxelles ha comunicato la sua decisione dopo l’annuncio dello svolgimento di un referendum costituzionale nello Zimbabwe il 16 marzo, una tappa necessaria perché il paese possa eleggere quest’anno un presidente e rinnovare il parlamento. Per il partito Zanu-Pf del presidente Robert Mugabe, che chiede un’abrogazione totale delle sanzioni, la decisione dell’Unione Europea è “scandalosa” e “assurda”.

TOGO – Un sit-in davanti al parlamento di Lomé per dire “no” alla modifica in corso della legge sull’Alta autorità audiovisiva e della comunicazione (Haac) è stato indetto da diverse organizzazioni togolesi di difesa dei media che denunciano un rafforzamento dei poteri dell’istituzione che potrà operare censure senza alcun intervento da parte della magistratura. Per le organizzazioni si tratta di un “provvedimento unilaterale del governo” che rischia di segnare “passi indietro per il libero esercizio della professione giornalistica”.

BURKINA FASO – Un finanziamento di 50 milioni di euro destinato a promuovere la sicurezza alimentare, l’accesso all’acqua potabile e a servizi igienici di qualità: lo prevede una convenzione siglata a Ouagadougou tra il ministro dell’Economia burkinabé, Noël Bembamba, e il capo della delegazione dell’Unione Europea nel paese africano, Alain Holleville.

(Nepal) Accordo per chiudere crisi politica e indire elezioni.

Quattro fra i principali partiti politici del Nepal hanno raggiunto un accordo per formare un governo ad interim guidato dal capo della Corte Suprema, Khilraj Regmi, e per tenere elezioni il prossimo giugno.

Regmi sostituirebbe il maoista Beburam Bhattarai, rimasto alla guida dell’esecutivo dallo scorso maggio quando il parlamento è stato sciolto. Da allora il paese è di fatto al centro di una crisi politica non ancora conclusa e collegata alla mancata approvazione di una nuova Costituzione.

Contro l’accordo cui sono pervenuti ieri i maoisti dell’Ucpn, il Congresso del Nepal, il Cpn-Uml e il Fronte democratico unito Madhesi si sono sollevati i maoisti del Cpn che hanno convocato uno sciopero generale contro la decisione di nominare Regmi alla guida del governo.

Secondo il quotidiano The Himalayan, benché abbiano già concordato il 5 giugno come data per elezioni le quattro formazioni promotrici dell’accordo sono ancora su posizioni diverse su alcune questioni chiave: la lista dei votanti, una sensibile questione sulla cittadinanza e la formazione di una Commissione verità e riconciliazione.

(Siria) Ultimatum ribelli a Hezbollah, ad Aleppo si combatte per aeroporto.

Ancora 48 ore di tempo, poi l’Esercito libero siriano (Els) compirà rappresaglie in territorio libanese: questo l’ultimatum dato dallo stesso gruppo ribelle in una nota fatta circolare oggi. Nei giorni scorsi i ribelli avevano accusato Hezbollah di incursioni oltreconfine e mostrato video di combattimenti attorno a tre villaggi della provincia di Homs a ridosso della frontiera con il Libano. Nelle ultime ore ha anche sostenuto che sarebbero una quarantina i combattenti libanesi uccisi.

L’Els nella nota ha avvertito la popolazione del villaggio libanese di Hermel di tenersi lontani dagli avamposti militari e dalle piattaforme di lancio di missili controllati da Hezbollah.

La notizia di un coinvolgimento diretto di Hezbollah nel conflitto siriano non ha finora trovato conferme ufficiali e il segretario generale del movimento, Sayyed Hassan Nasrallah, ha smentito e ribattuto alle accuse.

Intanto, secondo fonti vicine all’opposizione, centinaia di militari sarebbero stati inviati dal governo di Damasco ad Aleppo per contrastare l’offensiva dei ribelli. Questi ultimi, dopo aver preso il controllo di alcune basi militari, starebbero ora puntando all’aeroporto di Aleppo, il secondo del paese. A pagare le conseguenze peggiori di una situazione sempre più difficile è però la popolazione civile: ultime notizie riferiscono di un missile lanciato contro un quartiere popolare della città che avrebbe causato una ventina di vittime comprese donne e bambini.

Combattimenti sono in corso anche in altre zone del paese, compresa la capitale Damasco. L’agenzia di stampa Sana, filogovernativa, ha riferito di “attacchi terroristici” contro l’ospedale francese e la scuola Al Ma’ouna, nel quartiere Al Qassa’a, a Damasco.

Sul fronte politico la notizia più significativa è l’annuncio di un viaggio a Mosca del ministro degli Esteri siriano Walid al Mouallem. Il capo della diplomazia del presidente Bashar al Assad sarà a Mosca il prossimo 25 febbraio e la notizia è stata riferita dal vice-ministro russo Guennadi Natilov. La Russia, secondo notizie riferite da Sana, ha intanto inviato due aerei di aiuti umanitari atterrati oggi a Latakia.