(Europa) Guardare l'Europa dal versante povero (Danilo Taino, Corriere della Sera, 10 febbraio 2013)

10.02.2013 18:27

Piccola nota per partiti politici in campagna elettorale. Nel 2012, l'Italia è uscita dalla fotografia dei Paesi benestanti d'Europa. Se si considera il Prodotto interno lordo (Pil) pro capite in termini di potere d'acquisto (dati Eurostat), nel 2000 l'Italia era del 18% più ricca della media dei Paesi che oggi fanno parte dell'Unione Europea. Nel 2011, quel differenziale si è azzerato: eravamo in media perfetta con il resto dei 27 partner. I dati ufficiali del 2012 non sono ancora noti ma si sa che il Pil italiano è sceso (attorno al 2,4%) più di quello di quasi tutti gli altri europei: si può dunque dare per certo che dall'anno scorso gli italiani siano scesi, per ricchezza prodotta, sotto la media Ue. Nella terra dei poveri.
E con tendenza a restarci: le previsioni del Fondo monetario internazionale per il 2013 indicano che il Pil italiano scenderà di un altro 1%, mentre quello della Ue dovrebbe crescere, secondo le previsioni di novembre della Commissione, dello 0,4%. Per chiarire che il declino non è un destino, si può notare che la Germania, che nel 2000 partiva allo stesso nostro livello di Pil pro capite (a parità di potere d'acquisto), nel 2011 aveva guadagnato il 3% rispetto alla media dei 27 (oggi è del 21% sopra). E che Paesi rilevanti come Francia, Gran Bretagna, Svezia, Olanda, Danimarca, Belgio rimangono saldamente, in alcuni casi enormemente, sopra la media continentale.
Sotto la media europea del Pil pro capite, a questo punto, a parte la Spagna non c'è nessuna delle grandi economie con le quali usavamo confrontarci. Non siamo solo un Paese considerato periferico sui mercati perché abbiamo problemi di finanza pubblica: siamo anche finiti nell'album della famiglia dei poveri che si impoveriscono. Non è più questione di dibattito tra «declinisti» e non: è un dato statistico che dovrebbe mettere la discussione elettorale con i piedi per terra. È successo che, su una crescita italiana che dalla metà degli anni Novanta è stata quasi in stagnazione, è piombata la Grande Recessione — Pil in calo dell'1,2% nel 2008 e del 5,5% nel 2009 — che ha messo in ginocchio l'economia. Non sembriamo in grado di rimetterci in piedi.
Negli ultimi decenni, l'emergere di Paesi prima ai margini ha fatto sì che le esportazioni di tutte le nazioni di vecchia industrializzazione perdessero quote del commercio globale. Ma non necessariamente competitività. L'Italia, invece, l'ha persa. L'export — un segno della capacità di competere — è calato dal 4,57% del totale mondiale nel 1998 (dati Eurostat) al 2,84% del 2011. Tra il 2007 e il 2011, la quota delle esportazioni italiane è scesa del 18,3%, come quella greca (-18,6%): ma quelle non meno «periferiche» della Spagna e del Portogallo rispettivamente del 7,5 e dell'8,5%, la tedesca dell'8,1%, persino la Francia, in perdita accelerata di competitività, ha perso meno, l'11,1%. Cercasi programma di governo per tornare sul versante europeo dei Paesi ricchi.