(Egitto) Dopo lunedì nero stabilito calendario transizione (Misna)
Revisione della Costituzione sottoposta a un referendum popolare, elezioni parlamentari seguite da presidenziali entro l’inizio del 2014: sono i prossimi passi e scadenze della transizione stabiliti con un decreto a firma del presidente ad interim Adly Mansour, mentre l’Egitto è ancora sotto shock per le violenze di lunedì.
A sorpresa, il giudice insediato alla presidenza dai militari mercoledì scorso, ha annunciato la formazione di un pannello di esperti al massimo tra 15 giorni per emendare la contestata Costituzione, approvata lo scorso dicembre ma sospesa dopo la destituzione dell’ex presidente Mohamed Morsi. Entro due mesi il pannello – costituito da rappresentanti politici, religiosi e dei servizi di sicurezza – dovrà stilare una nuova versione della legge fondamentale, da sottoporre a un referendum popolare un mese dopo. In base alla ‘road map’ contenuta nel decreto presidenziale, elezioni parlamentari dovrebbero tenersi due mesi più tardi e successivamente saranno convocate elezioni presidenziali. L’intero processo di transizione dovrebbe durare al massimo 210 giorni, per concludersi entro febbraio 2014. Il decreto, che contiene 33 punti, diffusa dall’agenzia ufficiale ‘Mena’, precisa che il presidente della Repubblica detiene il potere esecutivo e ribadisce l’indipendenza della giustizia.
I Fratelli musulmani, il movimento del capo di Stato destituito, non hanno ancora commentato in via ufficiale il calendario stabilito da Mansour. Sulla sua pagina Facebook, Essam al-Erian, dirigente dei Fratelli musulmani, ha denunciato il decretato costituzionale adottato da “un uomo portato al potere da golpisti (..) che sta riportando il paese al punto di partenza”.
Intanto le nuove autorità sono ancora in cerca di un primo ministro, dopo che le prime trattative politiche siano fallite per via del veto imposto dal partito salafita Nour alla nomina di Mohamed El Baradei e di Ziad Bahaa el-Din. A questo punto, secondo fonti di stampa internazionale, il nome più accreditato è quello di Samir Radouane, l’ex ministro delle Finanze.
Ma più che sugli sviluppi politico-istituzionali, le cronache si focalizzano sul rischio di nuove proteste e violenze oggi al Cairo, dopo l’appello alla “sollevazione” contro i militari, lanciato ieri dai Fratelli musulmani, dopo l’uccisione di 51 manifestanti davanti al quartier generale della Guardia Repubblicana. Condanne unanimi sono arrivate dai paesi arabi e dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno chiesto alle forze armate egiziane di osservare il “massimo ritegno” e hanno condannato “l’appello esplicito alla violenza” da parte dei Fratelli musulmani. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha annunciato che Washington sta riconsiderando i suoi aiuti militari all’Egitto, che ammontano a più di un miliardo di dollari l’anno, precisando che “tale provvedimento non sarebbe nel vostro interesse”.